Adele Bardazzi / Sparare a zero. Intervista e testi

Per la terza puntata del format "Sparare a zero", la redazione intervista la poetessa Adele Bardazzi
  1. Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne 5 fondamentali per il tuo percorso?

Mi limito a quelli che ho letto recentemente. Onda statica (Zacinto, 2022), di Italo Testa; Three Poems (Faber & Faber, 2018) di Hannah Sullivan: avevo tentato di scrivere una sequenza completa sulle mie estetiste e so che prima o poi mi ci dedicherò, e avevo apprezzato, in Sullivan, una poesia a ‘quattro zampe’ costruita intorno al tema della sessualità. I Three Poems si aprono con una lunga sequenza incentrata su New York, città da cui ero da poco tornata e che ha giocato un ruolo decisivo nella mia pratica di scrittura quotidiana.
Sempre recentemente, sono rimasta colpita da diversi libri che, tuttavia, non sono sopravvissuti all’esercizio di traduzione che ho deciso di intraprendere stimolata da quella prima lettura. Penso a OBIT (Copper Canyon Press, 2020) di Victoria Chang, che uscirà con Interno Poesia nel 2023. OBIT è un libro che oggi fatico a rileggere con la stessa attenzione delle prime letture, ma su cui ho scommesso e investito molto.
Altri libri sono stati fondamentali e sono letteralmente entrati in quello che scrivo, anche se non necessariamente mi piacciono. Per questo motivo, rimarranno, almeno per il momento, anonimi.

  1. Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana? Per chi scrivi poesia?

Credo che abbia un valore centrale chiedersi ‘per chi’ si scrive poesia. Per questo non credo che la mia poesia abbia quel tipo di valore o coscienza dal punto di vista di chi la scrive. Per di più, nei rari casi in cui si palesa la presenza del lettore mentre scrivo, si accompagna spesso a un confronto diretto, una risata che lo possa svergognare o imbarazzare. Non mi piace questo mio atteggiamento, ma mi permette di scrivere, almeno per adesso. So di poter dire con più sicurezza di non scrivere per necessità o per me stessa. Allo stesso tempo, scrivere coinvolge una parte integrante e necessaria della mia quotidianità, il vissuto e il non vissuto, ma soprattutto la possibilità. Durante quei periodi, più o meno protratti, di scrittura ‘assente’, continuo a sentire la presenza della scrittura a livello quotidiano. Questi momenti di ‘digiuno’/‘digestione’ sono estremamente importanti per continuare a scrivere.

  1. Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri poeti viventi e con chi ti legge?

La risposta più facile è alimentare l’immagine della mia posizione da fuori – ovvero il percorso di qualcuno che scrive in italiano fuori dall’Italia, al di fuori dei vari gruppi poetici, di cui ignoravo totalmente l’esistenza prima di iniziare a scrivere e che, adesso, non ricerco o corteggio. Fin dalla prima infanzia, mi hanno sempre fatto paura la forza e il peso specifico del gruppo, e allo stesso tempo ho sofferto la sensazione di esserne esclusa. Questa sensazione di esclusione è, tuttavia, una necessità e quindi non propriamente sofferta.

  1. Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?

Credo che se riuscirò a continuare a scrivere sarà perché riesco a non confrontarmi con questa domanda se non attraverso l’attività di ricerca in ambito accademico. In quel contesto, per esempio, riesco a interessarmi di come la forma dell’elegia si possa modulare nel presente sviando dalla tradizione elegiaca del novecento, sia in contesto anglo-americano che italiano.

  1. Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono, che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura? In che modo entrano in poesia?

La storia implica uno sguardo all’indietro, puntellando sulla mappa dei ‘turn’ chiave. Tutti si affannano nell’identificare quali siano queste svolte decisive. Antropologicamente o socialmente parlando, la storia della rivoluzione quantistica mi sembra la fantasia scientifica su cui puntare tutto, con l’arroganza di chi fa all-in sul cavallo che nessuno vede davvero, quando semplicemente non lo vede nessuno alla tabaccheria in cui mi trovo, semivuoto, con solo le sigarette, il piccolo schermo senza volume, l’uomo che le vende, l’uomo che le compra e che guarda chi punta sul cavallo che nessuno vede. Ci sono tantissime tabaccherie, piene degli stessi cavalli e sigarette: è statisticamente improbabile che io sia l’unica a puntare tutto su Furia. È una fantasia, ma ne ho bisogno. Dunque, mi sento di puntare sulla rivoluzione quantistica, senza capirla, con gelosia per chi la studia, con arroganza verso chi la ignora.
Anche il campo di ‘quantum computing’ ha molto da dire per l’ambito umanistico e artistico. Recentemente ho dato uno sguardo agli studi di Eduardo Reck Miranda (Quantum Computer Music e Quantum Computing in the Arts and Humanities, Springer 2022). Il linguaggio con cui dicono quello che hanno da dire rimane oltre le mie possibilità di comprensione, ma mi piace convincermi che si possano vivere alcune cose con ignoranza, senza capirle, viverle sapendo che ci sono. Rispetto chi scrive accompagnando una ricerca meticolosa intorno all’oggetto su cui si focalizza. Penso a come Sara Ventroni parlava dei suoi libri sul gasometro o sul fiume Tevere, per esempio, o a un recente post su Facebook di Francesco Maria Terzago, che sostiene il valore di questa pratica. Ho sicuramente un mio modo di sostenere un simile accumulo, ma nella pratica, anche quando ci sono questioni molto specifiche che diventano centrali nella costruzione di una serie o della raccolta, preferisco scrivere senza conoscere tutto. È una forma di volontà, rimanere ignorante. Un esempio recente che mi viene in mente riguarda Basquiat, che è al centro di quello che probabilmente sarà il mio secondo libro. Sono partita da un’intervista di Basquiat, guardata e riascoltata per ore. Ma non ho voluto vedere altro, come se Basquiat potesse diventare troppo ingombrante, troppo importante. Ci potevano essere alternative a Basquiat per la funzione che assume nel libro, artisti che sono rimasti centrali per me anche dopo lo scemare di più di un’ondata di ossessione. Non avrei potuto scrivere di Basquiat altrimenti. Lo stesso potrei dire della tennista Naomi Osaka o del parrucchiere Vidal Sassoon. Per ritornare alla questione quantistica di cui, come si sarà ormai capito, non so niente, credo possa prendere un suo movimento in poesia oltre la scienza e con la scienza e, soprattutto, oltre ciò che possiamo comprendere attraverso una meccanica basata sulla consequenzialità. È una fantasia, ma ne ho bisogno. È la storia di un amore: il cavallo abbattuto a fine corsa perché si credeva potesse avere la laminite. Era così? Non era così? Si possono credere entrambe le cose. Come decidiamo in quale delle due credere?

  1. Che rapporto hai con la metrica e la rima?

Ho spesso pensato che un’ignoranza su questioni di metrica per chi si propone di scrivere poesia, e ancora di più per chi ha la convinzione di scriverne, è come per un compositore scrivere musica senza aver mai studiato armonia. Ho studiato, odiato, e completamente rimosso armonia, e dunque sento una forte invidia per chi riesce a maneggiarla. Non mi riferisco solo al contesto della musica classica. Lo stesso vale per la musica elettronica che, a differenza di quella classica che riesco a non ascoltare anche per anni interi, seguo con grande interesse. Un esempio che tengo a citare è quello di Caterina Barbieri e del suo utilizzo del sistema modulare analogico Buchla 200. Questo è ciò che credo permetta di essere musicista, anziché strumentista, una distinzione sulla quale un mio maestro insisteva e che ha mantenuto una connotazione semi-religiosa per me. Nonostante il mio percorso accademico possa dare per scontato un mio studio e preparazione nel ‘comporre’ poesia, non è così. Questo è certamente una limitazione, ma non la vivo come tale, forse perché non prendo troppo seriamente ciò che scrivo: si tratta, nella maggior parte dei casi, di un grande gioco. Credere questo mi permette di continuare a scrivere senza preoccupazione di un confronto ‘atletico’ su questioni di metrica.

  1. Tra le nuove generazioni ci sono 3 poeti che ritieni particolarmente preminenti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?

Maddalena Bergamin. Carmen Gallo. Francesca Santucci.

     0. Acer in fundo, se non vuoi dirci 3 poeti contemporanei che proprio non ti piacciono, puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’ e ‘pensare’ la poesia?

Leggevo un’intervista di qualche anno fa a una poetessa inglese, Emily Berry, dopo aver letto Dear Boy (Faber & Faber 2013). La metafora della torta mi repelle, ma funziona in questo caso. Eccola qui:

Say you’re making a cake and you have various different ingredients — you put eggs in it. But the cake is very different from its ingredients; you don’t say that the cake is an account of the eggs. Yet you couldn’t make it without the eggs. […] At the same time, some people really want poems — specifically poems written in the first person — to be about someone and something “real,” and they can feel cheated when the poem isn’t. There needs to be a different way of talking about it aside from “autobiography.”

Quando chi scrive vuole fare una torta gonfia di uova, parla della propria poesia facendo costante riferimento alle sue uova. Per rimanere con Berry, la cosa mi irrita, anche quando ha una funzione ‘sociale’ e ‘politica’ che potrei condividere. Penso a Dolore minimo (Interno poesia, 2018) di Giovanna Cristina Vivinetto. La presenza di un io ingombrante non implica il movimento pre-determinato tra io biografico e io poetico che troviamo nella poesia di Vivinetto. Anche se questo io si presenta come transessuale, perché farne una questione di persona quando siamo su un piano di poetica, di linguaggio, del fare, dell’esserci nella lingua? Detto questo, ho letto questo libro, ho cercato di includerlo nel progetto Non solo muse accanto a chi notoriamente si pone contro il riconoscimento delle donne transessuali come donne, e ne parlo perché credo sia importante che abbia uno spazio nella discussione della poesia scritta oggi in Italia. Ci sono molti altri libri che potrei nominare, ma non credo serva a molto senza contestualizzarli, come nel caso di Dolore minimo. Nomino semplicemente alcuni libri letti negli ultimi mesi: Dove sono gli anni (Garzanti 2022) di Gian Mario Villalta e, con stupore nel trovare una poesia così vecchia da un punto di vista di poetica nonostante il potenziale dell’utilizzo di algoritmi artificiali, Poesie sulla fine (2022) del collettivo Numero Cromatico. Infine, Exfanzia (Einaudi 2022) di Valerio Magrelli, per ricordarmi che anche poeti che stimiamo possono scrivere dei libri che, proprio perché partecipi all’opera dell’autore, non riescono a piacerci come quelli letti precedentemente. Questo non procura necessariamente una rivisitazione della nostra prima lettura.
Sono più di tre e mi fermo dunque qui. Ce ne sarebbero molti altri – mi interrogo spesso su alcuni libri che non mi piacciono in quanto sono per me un’utilissima fucina di scrittura e dialogo con altri lettori a cui generalmente mi affido.

***

Tre poesie inedite da Testamento (Untitled)

North Dublin

Is there any anger in you?

 

Of course there is.

 

What are you angry about?

 

[les yeux]
[Basquiat semble commencer à prend la parole]
[la bouche]
[Basquiat semble commencer à prend la parole]
[le souffle]

[le silence dirigé vers la caméra à travers les yeaux de Basquiat e la bouche muette, mais en mouvement]
[Basquiat semble commencer à prend la parole]
[Basquiat tenant le silence]
[Basquiat semble commencer à prend la parole]
[Basquiat souriant de douler et de colère] [Basquiat prend la parole]

I dont remember
[pause]
You know?
[Basquiat ci lascia con un sorriso]
[Basquiat nous donne la compréhension de la valuer que les holes et les unwords peuvent avoir dans la poésie et au-delà]

Great poets are great liars, someone told me with better words. Basquiat wants us to know when he lies. He is kind. When he lies, he moves his eyes inside the camera and comes sit next to me watching from the other side.

A testament should not miss out any detail, and does not allow Basquiat to keep on telling us his story by looking at the black hole in the camera.

In the testament that follows you can substitute anger with love, time with summer, space with Ireland. There is also anger, as Basquiat would tell us, but I also don’t remember as I always get lost in the streets of Dublin. Love and anger often hold each other’s hands, but not in this testament. Love is love and stays with love. Anger is anger and is directed from the outside to the I. The I dies at the end, as in every story. The cause of his death is an overdose of anger, not as fancy as he wished. Is it an indirect suicide in the language of the Law? The people who caused his death will now cry, say good words about him, call themselves his friends and colleagues from Dublin.

*

Un testamento scritto a mente
tra l’odore del melo
la testa ti vorrei dire dove
non davanti al lampione
dove tiene il mento alto
per scrivere più veloce.
Non c’è tempo
senza spazio
per un corpo

*

Dublino 8

Negli annunci molte luci
animano l’otto di questa città
non diffusa come altre che ho amato.
Rimane lontano. Così cerco casa,
con sala verso il sole,
ampia vasca rettangolare
dove mi lavi le mani,
e camera per l’ospite.
Esiste per rimanere vuota.
Senza rappresentare, continua
a esistere senza di noi.

*

Due testi da I nomi di Emanuele (Arcipelago itaca, 2023)

Chi è Emanuele?

So who is Emanuele and what is he doing here? He left together with his friend after a few days. We kept in touch, writing empty postcards now and then, but the mail service isn’t very good here. No one ever told him that his name is Emanuele. Unaware of his past and the life he was now living, he enjoyed reading, writing, eating and all those human things that keep us busy. He felt he had something, but was never able to grip it fully, to own it. I am different, he kept saying to his lovers; but why and how profound his differences were never quite reached him, leaving him days of shyness, others of arrogance, and more of disappointment. He knew, though, he was a stranger.

*

Necrologio di Emanuele

Elegia. Morì molte volte, una delle ultime tra 116 West e Amsterdam Avenue il 4 Novembre 2019, in una sera di pioggia, che non sentì in quel momento in quanto era da poco entrata nelle scale verdi scuro della metropolitana, per mano con Emanuele, ormai cresciuto nel tempo, ma soprattutto in quei mesi a New York. Anche lui era morto, almeno cinque volte, ma mai erano morti insieme. Lei aveva avuto una vita lunghissima, tutti la conoscevano, e poteva essere certa che sarebbe in qualche modo rimasta; lui non sapeva, lui non poteva comprendere che disteso tra gli scalini, non stava dormendo o recitando, che il rosso puntato fermo sul labbro non veniva solo dal suo naso, ma soprattutto non poteva sapere che non stava abbracciando Elegia, e chi lo guardava vedeva solo lei, perché bellissima. Di lui notavano solo l’età, lo scarto di età tra i due, non sicuri che non fossero amanti. Cosa hanno desiderato? Non lo sappiamo, ma allo scrittore di necrologi, che conosceva entrambi, risultò difficile scrivere su di loro e la mattina seguente decise di comprare a Harlem una giacca a scacchi verde bottiglia, sarebbe stata la giacca che era stata la preferita di Emanuele e domani la giacca che Emanuele aveva dimenticato a casa. Elegia sarebbe passata a riprenderla nel fine settimana, sperando di non trovarci delle tarme di stagione.

***

Adele Bardazzi è curatrice di Non solo muse (www.nonsolomuse.com) e Italian Poetry Today (www.italianpoetrytoday.com). Nel 2023 ha pubblicato I nomi di Emanuele con Arcipelago Itaca.

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