- Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne 5 fondamentali per il tuo percorso?
Memorial, di Alice Oswald è stato una folgorazione: Come quando Dio lancia una stella / e tutti guardano in alto / per vedere quella frusta di scintille / e poi scompare (and then it’s gone). Poi, Quell’andarsene nel buio dei cortili di Milo De Angelis, per restare su testi che hanno un andamento poematico, non tanto nel senso classico del termine —benché parli dichiaratamente di eroi e di dei, di “potenza greca del finale”— ma in senso ancestrale “nell’imminenza”. Proseguendo: Gli impianti del dovere e della guerra di Antonio Riccardi, un’epopea familiare, non quindi una storia ma una genealogia. Tra i miei versi preferiti: “la notte più chiara è quella dei corvi”. Per concludere alla radice: Bloodroot (appunto radice-sangue), di Anne Marie Nì Churreáin, che purtroppo non è tradotto in italiano. I libri sono quattro. Avrei voluto includere qualcosa di Antonella Anedda ma nel suo caso mi riesce difficile parlare di un libro in particolare senza far riferimento a elementi precedenti della sua produzione poetica. Il volume Garzanti con tutte le sue poesie è uscito dopo il 2000, quindi direi quello, se vale. Da Historiae (Einaudi, 2018) alcuni dei miei versi preferiti: Pensarci senza pelle rende buoni. / Per il paradiso forse non c’è strada migliore che ritornare pietre, saperci senza cuore.
- Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana? Per chi scrivi poesia?
Tanto per cominciare, non ho un buon rapporto con la quotidianità: mi terrorizza. La scrittura per me, non solo di poesia, ha il potere di trasformare il quotidiano in straordinario. Non saprei spiegarlo meglio. Dopotutto, se qualcosa è bello non c’è bisogno di dargli una spiegazione. Venendo alla seconda parte della domanda, ogni volta che finisco di scrivere una poesia mi chiedo se mi sarebbe piaciuta a diciassette, diciotto anni, quando scrivevo malissimo anche se leggevo solo quei poeti che sarebbero rimasti i miei preferiti. Ho capito di scrivere per un pubblico adolescenziale, più che adolescente in senso anagrafico. In primo luogo per chi desidera fare il poeta, indipendentemente dal fatto che sia o meno già riconosciuto come tale, o che effettivamente scriva. Credo che in molti, quando a colpirli è una poesia, si convincano di averla scritta loro e se ne approprino, come tutti ci appropriamo di un nome che in realtà appartiene a diverse persone solo perché siamo chiamati. Se è vero, quindi, che per me la poesia parla sempre con qualcuno, il suo spazio è “chiuso” com’è chiuso un cerchio magico. Semmai è la vita, non solo la mia, ad entrare nella poesia, mai come storia ma come memoria, che non segue le regole del tempo e dello spazio, si sovrappone ad altre vite piegandosi con loro.
- Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri poeti viventi e con chi ti legge?
Credo che il mio rapporto con gli altri poeti viventi sia quantomeno buono. Sento di partecipare a una comunità, più che di appartenervi. Questo vale finché non si parla di quel microcosmo tossico relativo alla poesia contemporanea che ai suoi estremi vede frecciatine su Facebook e recensioni sempre positive oppure inesistenti, e si allarga fino a includere ogni declinazione minore di vendetta, che questa si concretizzi in un pettegolezzo oppure in un’omissione strategica. Ad oggi per me tutta questa negatività resta difficile da comprendere, anche se dietro non credo ci sia più che frustrazione. Chi fa poesia non ha scelto di sicuro un campo in cui è facile guadagnare: la domanda supera l’offerta, perché ci sono migliaia di ragazzi e ragazze che scrivono poesie nelle note del telefono. Nemmeno la “gloria”, l’alloro, per quanto uno se la racconti, è un prospetto scontato, perché quando questi ragazzi leggono un contemporaneo sono impietosi, come non saprebbero mai essere con se stessi: lo mettono a paragone con “i migliori di sempre”. Proprio in quelli che sono stati questi ragazzi e ragazze ho trovato la motivazione necessaria per scrivere al meglio delle mie possibilità. Dopotutto mi sono formata ai laboratori di poesia del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna, ma ho incontrato altri con lo stesso entusiasmo anche al laboratorio di poesia dello IULM, così come nella redazione di Inverso. Li riconosci quando gli chiedi se ci sono poeti vivi interessanti, perché non avranno nessuna vergogna a dire: ci siamo noi. Noi, non io, perché sei già dei loro in partenza.
- Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?
No e sì. Se si considera il proseguimento di una tradizione come un manifestarsi della storia, allora no. Trovo per principio sbagliato parlare di tradizione in senso storico. Si può fare un discorso antropologico o sociologico, al massimo. Tutta la poesia per me è contemporanea nel momento in cui la leggo. Lo sono i simbolisti e gli scapigliati. Ho però un mio albero genealogico poetico, che in Italia include autrici come Claudia Ruggieri e Livia De Stefani. I versi di entrambe sono presenti nel mio libro. Poi Dylan Thomas, Eliot quando sembra John Donne, e Ted Hughes in Crow. La mia poeta preferita, se si può parlare di poeti preferiti senza essere tacciati di infantilismo, è Sylvia Plath. La mia poesia preferita è di Robert Frost, finisce così: “i boschi sono splendidi, profondi e scuri / ma ho promesse da mantenere / e miglia avanti prima di dormire / e miglia avanti prima di dormire”. Lo so che questo è un elenco, non una tradizione. Non racconta nessuna storia. Tuttavia mi sembra impossibile, come dicevo prima, parlare di storia della poesia o della letteratura, perché io proprio non ci credo nella possibilità di una metodologia fondata sulla storia, dunque su una filosofia della storia, e quindi di un lavoro storico sulla letteratura. Mi rendo conto che questa è una posizione forte, specialmente in un paese il cui sistema scolastico si fonda su un diffuso storicismo, di cui risentono anche gli strumenti filologici che ci vengono dati. Ovviamente non posso negare che ci siano fatti che seguono da altri. Nella mia visione, però, questi fatti si susseguono come io seguo a mia madre e mio padre (e non a un padre e una madre qualsiasi), e loro seguono ai miei nonni, e via così. Reitero: non ho una storia della poesia, ho una genealogia. Ogni famiglia ha le sue tradizioni.
- Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono, che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura? In che modo entrano in poesia?
La logica e gli anime. Partiamo dagli anime che è meglio. Nel mio libro, la penultima poesia si apre con una citazione indiretta a un anime, Vinland Saga: “nessuno ha più nemici sulla terra”. Nessun’altra forma artistica ha avuto su di me un tale impatto morale. Non ho ancora letto un libro di poesia che mi abbia resa una persona migliore. Monster di Naoki Urasawa, Ping Pong the Animation, Orb: il movimento dei pianeti e il sopracitato Vinland Saga mi hanno portata invece a mettere in discussione la mia visione del mondo e il mio modo di rapportarmi agli altri. Forse ho visto gli anime giusti al momento giusto e letto le poesie sbagliate. Passiamo alla logica. Ho studiato filosofia — poi ho smesso, perché mi sembrava non avesse senso porsi quelle stesse domande che mi avevano spinta a studiare filosofia in primo luogo: “perché esisto? Perché le cose accadono? Perché il tempo passa? Perché vivere? Perché morire?”. Mi sembrava che le uniche possibili risposte fossero in fin dei conti opinioni, e che le domande in primo luogo non avessero senso. Poi ho scoperto la logica. In logica non ci sono perché. Solo “quindi”, una cosa che segue a un altra, e tanti “se”. I problemi fondamentali per me ora non sono più formulati come “perché”. Vivo molto meglio, perché ho domande espresse meglio. In questo periodo molte di queste domande ruotano attorno al problema di dire la verità o, meglio ancora, al modo in cui sia opportuno esprimere qualcosa che chiunque sia giustificato a ritenere vero. È un problema che mi pongo anche quando scrivo poesia, indipendentemente dal fatto che ciò che racconto sia o non sia, nei fatti, reale (quasi sempre però parte da un dato verificabile). Il libro più importante per me resta il Tractatus, benché sia pieno di errori, di cui Wittgenstein stesso prese coscienza negli anni successivi alla pubblicazione. Se è pieno di errori, però, è perché è un libro che tenta l’impossibile: è un manuale di istruzioni per chi desidera avventarsi contro il linguaggio. È stato scritto per un soggetto che non si sente nel mondo, ma che dispone del mondo soltanto e del suo linguaggio. Per un poeta, di sicuro.
- Che rapporto hai con la metrica e la rima?
Ottimo: non ci capisco niente. Mi hanno detto che ho orecchio, però. Non avendo studiato lettere, non ho aperto per la prima volta un manuale di metrica a Novembre del 2024: prima imparavo facendo. La terminologia manca ancora a tratti. Mi muovo a tentoni insomma, ma mi muovo bene credo. Per quanto riguarda i miei testi seguo un criterio compositivo serissimo: ignoro il numero di sillabe perché non so contarle e la sinalefe mi confonde, ma sto attenta agli accenti e al “tono” che questi conferiscono ai singoli versi, copiando senza vergogna tutto quello che mi piace a livello sonoro.
- Tra le nuove generazioni ci sono 3 poeti che ritieni particolarmente preminenti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Ce ne sono ben più di tre che ritengo preminenti. Prima ho parlato della possibilità di costruire un albero genealogico della poesia: il mio è pieno di fratelli e sorelle. Per ora voglio credere che questa generazione di poeti sia diversa, che le cose andranno meglio d’ora in poi perché ci siamo noi. Senza sforzarmi mi vengono in mente quindici nomi, che sembrano un sacco ma sono pochissimi se pensiamo a quanta gente scrive. Non saprei a chi di loro porre queste domande. Il terzo nome è forse l’unico che potrebbe sollevare qualche sopracciglio, per ragioni personali, ma secondo me Mattia Tarantino, Gloria Riggio e Mikel Marini darebbero risposte interessanti. Altri due poeti giovanissimi che mi piacciono molto, pur non avendo nessun libro all’attivo, sono Fael Marescotti e Andrea Agnoletto.
0. Acer in fundo, se non vuoi dirci 3 poeti contemporanei che proprio non ti piacciono, puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’ e ‘pensare’ la poesia?
Indicherò solo due testi, perché è raro che qualcosa, volgarmente, mi faccia completamente schifo. Quando questo succede, è quasi sempre perché tocca un tasto dolente, in una prospettiva di etica personale più che letteraria. A questo proposito, forse varrebbe più la pena di parlare di quei modi di partecipare alla poesia che mi provocano disagio. È un impegno serio quello che mi prendo per cercare di essere una presenza positiva per gli altri, anche quando l’argomento dei miei testi è spiacevole. Quando qualcuno scrive per sobbarcare il lettore dei propri sentimenti negativi mi sento male, specialmente perché questo modo di approcciarsi alla letteratura è deleterio per l’autore in primis. L’unico prospetto possibile per chi partecipa a un’opera del genere è la disperazione condivisa che non equivale a liberarsi delle proprie frustrazioni ma ad accrescerle. Anche se il dolore ha spesso cause sistemiche e la protesta è legittima, fare di tutto per essere infelici non è rivoluzionario.
Detto questo, se avete scrollato fino a qui per leggere i nomi / titoli alla fine, eccoli.
Degli amanti non degli eroi di Daniele Mencarelli. Benché Mencarelli sia “moralmente schierato”, l’intenzione dei suoi libri per me non era mai stata un problema che avesse senso porsi (Bambino Gesù è un bellissimo libro). Credo però che in questo caso specifico emergano diverse criticità, sia stilistiche che contenutistiche. Si cede alla parola grande e facile, alla similitudine prevedibile. La questione principale tuttavia ruota intorno alla figura salvifica di Anna, una “Beatrice Dantesca” in carne e ossa. Beatrice infatti, per come la conosciamo nella commedia, pur essendo “vera” non è, molto chiaramente, la Beatrice reale (quella Beatrice è morta). L’Anna di Mencarelli invece è vivissima e terrena, ma il suo valore dipende dal suo ruolo. Beatrici così però esistono solo in paradiso, e promettere la salvezza attraverso l’altro per trascendenza è pericoloso anche in una prospettiva cristiana.
Il secondo libro è La natura del bastardo di Davide Rondoni. C’è un modo di dire inglese che tradotto rende più o meno così: quando qualcuno ti dice chi è, credigli. Credo che Rondoni sia il più citato se guardiamo a tutti gli episodi precedenti di sparare a zero, quindi non mancano persone che condividono con me un certo risentimento nei suoi confronti. Sebbene la sua produzione sembri ormai prossima a un declino qualitativo inarrestabile, è da anni che si circonda di giovani poeti, puntando sull’immagine del maestro. A me non sembra però che gli interessi davvero formare questi poeti, bensì formare una comunità auto-riferita. Ma questo caso è solo l’esempio più palese di un modo di fare diffusissimo nell’ambiente: offrire false opportunità, invitare giovanissimi con la promessa di renderli poeti solamente per trasformarli in pubblico. E questo c’entra poco con la poesia.
***
Ti chiediamo infine di proporci alcuni tuoi testi poetici.
Da Male Minore, Vallecchi, 2025
Esercizi di autocontrollo
L’urto dei denti, uno schiaffo non basta
davanti allo specchio. Poi il segno sul braccio,
staccare la crosta sperando che resti.
Cucirsi la bocca stringendo i capelli tra i denti
– anche il tempo è materia che stringe lo scheletro –
e non mangiare nient’altro. È così che passo
da un buco di serratura a un altro.
Per fortuna non restano lividi, ho strati diversi di pelle
e ogni corpo mi cambia la forma, la faccia.
Ogni cosa si trasforma – non posso
diventare qualcos’altro controvoglia.
II
Resta in piedi solo lui, il Monumentale.
Quello che era bianco è diventato trasparente
o di metallo, e fanno male
le gengive per il caldo.
Ti ricordi quando è morto il padre di A.?
siamo corsi a casa sua, dai quattro angoli
della città – e tu non c’eri.
«Quando ero piccola volevo toccargli i baffi
ma, non so perché, solo da un lato
ora ch’è fermo sul divano ci ho provato, sai
a toccare l’altro lato, come per gioco
ed era freddo, anche di giugno, è stato come
toccare l’altro lato della luna».
*
Angela
Nessuno dei vivi l’ha mai conosciuta davvero
il segno che ha lasciato, la Madonna
appesa al palo in autostrada
guarda ancora di sottecchi chi ritorna.
L’urto il metallo che schiaccia
divide le costole, la lamina del cofano
all’altezza del torace. Le portiere come ali
spiegate in tangenziale. Forse come gli angeli
anche lei era senza volto, il sangue e l’olio
sull’asfalto e i capelli sparsi in aria
come pollini che bruciano –
tutti i nodi sono sciolti,
resta libera metà della mansarda.
Fino al giorno prima la vedevi farsi largo
sui balconi sempre pieni delle case di ringhiera,
adesso il parafango
ha diviso le caviglie dalle gambe.
Dicono i vicini che non fosse la più bella
tra le figlie del portiere, ma era quella
intelligente, che sapeva come mettere a tacere
anche la madre che gridava nella tromba delle scale
in dialetto milanese. Persino suo padre
la sopportava, o così si diceva, lui
che non parlava con nessuno e non usciva mai di casa.
Angela contava sulla punta della lingua
ogni singola parola micidiale.
Forse è questo il silenzio pensava suo padre,
che adesso la circonda come un vuoto dentro il tuono
del ferro che si schianta sull’asfalto.
Ma al silenzio non ti abitui se lo senti
nelle grida dei bambini appena nati,
resta addosso ai nostri figli per il resto della vita.
Rebecca Garbin è nata a Milano nel 2001, Male minore (Vallecchi Firenze, 2024) è il suo primo libro. Nel 2023 ha vinto la sezione Inediti Under 25 del Premio Alma Mater Violani Landi, assegnato dall’Università di Bologna. È stata tra i giovani autori selezionati per il progetto promosso dall’Università IULM, La poesia che si fa città. I suoi testi sono comparsi sul numero 24 di Poesia (Crocetti, 2024) e su diverse riviste online. Collabora con il blog vallecchipoesia.it , con Inverso – giornale di poesia e con il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna.