“ Quando tu passi, e mi chiami,
assente son io.
Per lunghe ore ti aspetto,
e tu, distratto, voli altrove ”
Elsa Morante, Amuleto
7. Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne cinque fondamentali per il tuo percorso?
Sono libri-richiami, ai quali torno spesso, libri-talismani:
Alessandro Ceni, Mattoni per l’altare del fuoco.
Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore.
Giovanna Sicari, Epoca immobile.
Gabriele Galloni, L’estate del mondo.
Simone Cattaneo, Peace & Love, Tutte le poesie
6. Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?
Per chi scrivi poesia?
La poesia nella mia vita è soprattutto la poesia degli altri, quella che leggo, soprattutto poesia
contemporanea. Come atto di scrittura non è un rituale quotidiano, ci arrivo per lampi improvvisi,
dopo tanti silenzi, dopo il tempo della sedimentazione e della maturazione. Procedo per accumuli,
lascio che le parole possano brillare dopo che il fango ha cancellato le sue impronte. Il mio
destinatario è spesso un tu imprecisato, che assume diverse forme a seconda dei momenti. Scrivo
per ascoltarmi e per chi vuole mettersi in ascolto.
5. Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri
poeti viventi e con chi ti legge?
Più che di una comunità poetica, sento di far parte di una costellazione senza nome, fatta di
tante monadi e di tante piccole tribù senza statuto, tante voci che esprimono ognuna una visione
di mondo diversa. Mi confronto molto con tutte queste altre voci, anche di altre generazioni, le
leggo, instauro dialoghi, ricevo consigli e a volte mi capita di darne. Con i lettori il rapporto è
simile, sono molto curioso delle onde che generano i sassi delle mie parole, non si scrive mai
solo per se stessi ed è fondamentale indagare gli echi della nostra voce.
4. Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare
vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?
Molti hanno riscontrato nei versi del mio ultimo libro Amuleti (Ensemble, 2022) una matrice orfica-
ermetica-espressionista ancora legata al ’900, quindi direi che questa dimensione plurale in qualche
modo mi appartiene sicuramente. Più che tradizione direi più tradizioni: ognuna, anche nel
piccolo, ha scavato il suo minimo solco. Credo di sentirmi vicino spesso ai temi della poesia
orientale, anche se non la conosco così bene, è una tradizione che vorrei approfondire.
3. Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono,
che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura?
In che modo entrano in poesia?
Nei miei testi il focus è spesso concentrato sulle immagini, quindi direi in particolare l’arte
pittorica che entra nei miei testi in maniera forse inconsapevole, imitando il processo di mimesis
della natura.
2. Che rapporto hai con la metrica e la rima?
Non scrivo quasi mai seguendo una metrica rigida e precisa, più che altro lascio che alcuni metri
entrino naturalmente nei miei versi, come il tradizionale endecasillabo tanto caro alla poesia
italiana. Seguo un ritmo incostante e principalmente libero. Uso raramente la rima, solo quando
è strettamente necessaria e ha in grado di suggerire qualcosa in più.
1. Tra le nuove generazioni ci sono tre poeti che ritieni particolarmente preminenti o
a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Mattia Tarantino, Giovanni Ibello, Alessandro Anil.
0. Acer in fundo, se non vuoi dirci tre poeti contemporanei che proprio non ti piacciono,
puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’
e ‘pensare’ la poesia?
Giancarlo Consonni, Alessandro Moscè, Alessandra Carnaroli. Per ora li ho sentiti più
distanti di altri, nei temi e nelle forme. Non nego che in futuro potrei tornare a rileggerli e
trovare qualcosa che mi colpisca particolarmente, chissà.
Ti chiediamo infine di proporci alcuni tuoi testi poetici.
Due poesie da Amuleti (Ensemble, 2022)
***
Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.
Sentire la vita come allora e in un punto
preciso, dentro al petto. Chiaro nitido
pungente. Accorgersi del noto.
Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza
nella corsa e il piede-ancora che tiene.
Polvere, il radioso nello spazio
tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,
acuminato. Universo che semina nel petto
qualcosa di antico e benedetto.
In cerchio si osserva la ferita al ginocchio
del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.
Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi
era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi
mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto
lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.
E noi acquattati come i morti. In attesa.
Trattenendo il respiro come loro.
***
Se dico grano tu lieviti e ti spalanchi nel mio nome.
Siamo nati. “Alberi case colli per l’inganno consueto”.
Se dico àncora, mi abissi. Siamo nati.
Gettati in un nome verso un nome.
Se dico tetto mi scoperchi, se dico cielo
mi nevichi e mi scardini dal corpo.
Con la grazia dei vulcani. In quello
stare delle cose illuminate per sé stesse.
Se dico sillaba, fonemi si sparpagliano
e poi il gelo li ricuce, li spoglia
e fa nuda la parola, esposta
e divina come un barbaro in esilio.
Adesso. Se lo dico, già è passato.
Siamo nati. Gettati in un nome verso un nome.
Inedito
Guardo questo cielo, questo cielo
che è qui adesso, diverso, uguale a tutti gli altri,
ne scruto il fluire come un fiume,
seguo il suo viandare e mi chiedo
chi sono io qui adesso, che diritto
ho di stare io qui adesso rispetto a tutti
gli altri, a chi lasciato il suo solco già da tempo,
nella notte o verso l’alba andando incontro
al suo destino, incontro a chissà quale altro
corpo nuovo da abitare. I morti sanno tutto.
E ti leggono il pensiero. E io tremo se penso
che lontano, in un tempo antico e già futuro,
in un tempo presente e trapassato,
qualcuno contiene tutto il mondo, tutto
intero l’universo, tremo se penso
ai miliardi di morti forse vivi e infiniti
chissà dove, sento tutta la vertigine
montare qui nel petto se penso
che anche io, un giorno, farò parte della schiera
e allora che cosa ne sarà delle parole,
anche di queste, che senso avrà avuto respirare,
stare in piedi, avanzare nel mondo e poi sparire.
Forse allora sarà chiaro ogni mistero,
sarà tutto così semplice e perfetto
e mi illudo che ogni cosa andrà al solco
originale. Intanto continuo a guardare questo cielo,
questo cielo che è qui adesso, diverso,
uguale a tutti gli altri, lo stesso che ha guardato
il primo uomo – io adesso se esiste
solo l’attimo presente -, che l’uomo del futuro
guarderà allo stesso modo, guardo questo
cielo e intanto ritremo a pensarmi qui vivo
proprio adesso, incastrato nell’opera del mondo,
a lasciare come gli altri la mia scia.
Lorenzo Pataro (Castrovillari, 1998-2025), laureato in Lettere moderne, ha studiato Filologia Moderna all’Università di Salerno. Ha pubblicato le raccolte di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018) e Amuleti (Ensemble, 2022), con prefazione di Elio Pecora, recensita sui maggiori quotidiani italiani (Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Il Mattino, La Lettura – Corriere della Sera, tra gli altri) e arrivata in semifinale alla prima edizione de Il Premio Strega poesia 2023. Fa parte della redazione di Inverso – giornale di poesia. Ha vinto diversi premi, tra cui “Ossi di seppia” nel 2021 e “Ritratti di poesia” nel 2023. Collabora con il quotidiano “Il Foglio”.