Maddalena Lotter | Poesie da “Questioni naturali”

Silvia Righi e Antiniska Pozzi intervistano Maddalena Lotter (Venezia, 1990) e presentano alcune poesie dell'autrice, estratte da "Questioni naturali" (XIV Quaderno di poesia contemporanea MarcosyMarcos). L'articolo contiene anche le letture ad alta voce della poetessa, in esclusiva per MediumPoesia.


1.  Nelle poesie di Questioni naturali, come anche nel tuo libro d’esordio Verticale, ritorna il concetto di “verticalità” e si manifesta in relazione a un certo attaccamento alla vita terrena, a una quotidianità fatta di «piccole aperture verso l’universo». La verticalità, nella tua prospettiva poetica, si può dire che coincida tanto con un movimento verso l’alto quanto con l’idea di ‘ancoramento’?

Sì, come ho avuto modo di dire in altre occasioni, è proprio così che intendo la verticalità, come l’abbandono a un movimento duplice che, una volta accolto e percepito, può aprirci alla visione di quelle «piccole aperture dell’universo», quei segni appunto, quelle incursioni non propriamente ‘terrestri’ che appaiono nella nostra realtà. Noi però siamo saldi qui, nella nostra dimensione umana, ed è qui che noi assumiamo una postura, un ἦθος. Qui è nostro dovere assumere una posizione. In questo nostro posto possiamo esprimere ciò che riusciamo a dire sul mondo, sempre consapevoli, però, che il mondo che noi percepiamo e abitiamo non esaurisce, neanche solo minimamente, le forme della vita. Insomma, c’è sempre dell’altro, che noi non conosciamo ma che percepiamo, e a cui la poesia riesce ad alludere. Per me la verticalità è questa presenza vigile, questa forma di attesa. Chi scrive, vive sempre nell’attesa che, in ciò che vive e vede, si manifesti un piccolo segno, un po’ di senso. 

2. Spesso nei tuoi versi sono rintracciabili termini che provengono dall’area semantica dell’acqua (galleggio, che allagasse il mondo, laguna, bolle nell’acqua, sommersa, alghe, cetacei, fondali, meduse. Inoltre c’è l’esergo in apertura della selezione sui Quaderni, tratto dalla genesi). Come agisce questo serbatoio semantico, e quanto è conscio? Il mondo acquatico è un mondo in cui l’acqua è un elemento che minaccia l’essere umano o al contrario è fonte di vita?

Innanzitutto, credo che questo ‘serbatoio d’acqua’ si sia formato durante la stesura delle Questioni naturali, e infatti se torniamo ai testi di Verticale (2015) di acqua non ne troviamo poi molta. Mi piace anche dire che, in questi anni, a farmi frequentare quest’area semantica sono stati la lettura di altri autori e lo scambio di rielaborazioni estetiche che ho avuto con alcuni di loro. Una per tutti, direi Mariagiorgia Ulbar, che nel suo ultimo libro Lighea (Elliot, 2018) fa parlare una sirena, la quale, nella sua lingua d’acqua, ci racconta di «tesori rilucenti o nascosti e cose che non si spiegano e non si possiedono mai». La silloge Questioni naturali che ho pubblicato nel XIV Quaderno Marcos y Marcos affronta alcune manifestazioni, alcuni fenomeni della realtà, naturali appunto, tra i quali abbiamo immagini di raccoglimento, solo vagamente inquietanti (i «fondali appartati da millenni dove non si va», i cetacei che mi immagino nuotare sul fondo di epoche lontanissime, le case riflesse nel canale veneziano che sono «più vicine al vero / al vacillante»), ma abbiamo anche i cataclismi (c’è un vulcano che parla, per esempio, c’è un terremoto…). Volevo imprigionare tra le pagine quel mistero che proprio non ha risposta: perché le cose accadono? E perché accadono proprio così? E perché noi ci siamo dentro? Dov’è che si nasconde l’io, quando alla sera ci ritroviamo, da soli, eppure non ci vediamo, non ci conosciamo per intero e allora proviamo a battere la nostra cassa toracica come se bussassimo ad una porta (p.250)?

Ecco, dentro questa mia intenzione credo che inconsciamente fosse l’acqua, la dirompente, a rappresentare meglio il movimento che volevo mettere in luce. 

A questo proposito è utile una notizia autobiografica. Io amo molto entrare nel mare quando ci sono le onde alte (questo lo posso fare nell’Adriatico, il mio mare mite). Mi piace stare avvinghiata con i piedi alla sabbia e spalancare la braccia, chiudere gli occhi davanti all’onda in arrivo e lasciare che mi colpisca in faccia. Che la sua forza mi sposti. E’ come se le dicessi: «Eccomi qui». La potenza dell’acqua ci fa sempre capire questa cosa: ci fa sentire ciò che è inesorabile. Ciò che avviene perché è. Quella forza che si scarica senza possibilità di dialogo, di rinuncia, senza che qualcuno possa porre un freno. La stessa cosa avviene con la terra quando trema.
Un tempo si affidava la responsabilità di questi fenomeni naturali agli dei: Poseidone allora era  Ἐννοσίγαιον (enosictono), “scuoti-terra”. Nel tempo abbiamo dovuto accettare qualcosa di più destabilizzante, e cioè che in ciò che accade non vi sia alcun responsabile. L’acqua non è né una minaccia né una fonte di vita; gli elementi non hanno volontà, sono movimenti di energia e come tali vanno temuti, sì, e rispettati. Possono aprirsi in un panorama meraviglioso, oppure possono distruggere in poco tempo interi ecosistemi. L’energia che muove questi eventi è la medesima.

3. Dal tuo punto di vista, e dal momento che sono temi che ritornano nelle tue poesie, consideri l’infanzia e l’adolescenza come luoghi irraggiungibili del passato o non pensi esista una reale separazione tra “prima” e “ora”? 

Non penso ci sia una reale separazione tra “prima” e “ora” dentro le possibilità consce e inconsce di ricordare che ha una persona. Ad esempio se nel tempo, dimensione di cui non sappiamo ancora quasi niente, vi fosse davvero questa frattura, questa separazione, beh, non esisterebbe la nostalgia. Che vita sarebbe senza nostalgia? Probabilmente, con la sua assenza, non esisterebbe neanche quella necessità che ci porta verso la scrittura. Ed è importante specificare che la nostalgia  non è soltanto memoria di un luogo a cui non possiamo fare ritorno. La nostalgia c’è quando una parte di noi, quella più impalpabile, è rimasta lì, in quel luogo che ci manca (reale o immaginario), mentre il nostro corpo lì non è più. In questo senso il tempo non ha compiuto la frattura.

4. Si percepisce nei tuoi versi un’idea di corpo come entità che inevitabilmente decade: in diverse composizioni si parla di ipocondria, di malattie, compaiono termini legati alla cura, e alla sanità del corpo; come sottotraccia il tema del decadimento fisico viene evocato in modo più o meno esplicito. Come lo hai utilizzato per esplorare, appunto, le “questioni naturali”?

Anche l’invecchiamento rientra fra le questioni naturali. Fa parte di ciò che è inesorabile. Nei miei testi parlo di corpi che «crescono / fino a svanire», che si dissolvono, e molto spesso parlo anche di pezzi di corpo, dei loro sintomi, che poi però si aprono a barlumi di senso, a quel «resto che si spalanca sopra la casa, / sopra le nostre vite». Nelle Questioni naturali ho cercato di far emergere una proporzione tra il micro e il macro: la proporzione del nostro corpo, limitato, malato, destinato a dissolversi, a confronto con il macro, che sono i processi dell’esistenza, di cui noi siamo parte integrante. Il micro allora non ci deve spaventare. Per quanto piccoli e finiti, noi siamo sempre in rapporto a questo: allo sconfinato, a tutto ciò che non conosciamo.

5. Domanda provocatoria: il tuo linguaggio è assolutamente misurato, nitido, esatto. C’è il rischio che, sul lungo termine, possa diventare una gabbia e limitare la tua espressività?

Può darsi. Ma la scelta di uno stile dipende sempre dai contenuti che trattiamo. Il mio linguaggio è misurato, nitido ed esatto perché tratta quasi sempre cose piuttosto inesatte e, come scrive giustamente Davide Castiglione in un articolo per La Balena Bianca proprio a proposito delle Questioni naturali, «poco circostanziate». Nei miei testi io non mi riferisco quasi mai a situazioni precise, quando parlo di un vulcano non è mai l’Etna o il Krakatoa, quello mio è il vulcano, un vulcano ‘assoluto’, direi archetipico; quindi, se scrivo poesie che tendono a parlare di forme e movimenti assoluti, l’essere misurata diventa quasi un obbligo, altrimenti corro il rischio di essere solo una che farnetica. Già a qualcuno può dare fastidio una poesia che tende al «metafisico-esistenziale» (Castiglione), al «piano metafisico, generale» (Malvestio), figuriamoci se scrivessi anche in modo ridondante! Diventerebbe insopportabile anche per me.

Intervista a cura di Silvia Righi Antiniska Pozzi


Verticale

 

In che trofeo finisce tutta la forza
spesa per contenersi, non deragliare
soggetto normale.

Poco prima del sonno
se batto piano 
la cassa toracica comincia
una musica preistorica
di tamburi, ossa e polmoni
e più, più in fondo
anche se non siamo mai andati
sospettiamo
esserci ancora io.

Dire: ho domato
i suoi canini scintillanti nel buio
e solo ora vivo
come un premio la mia incessante compagnia.
Così dormo. Non mi porta via
più niente da qui, dal faro fermo
della mente.

*

Ognuno dovrebbe vivere un’infanzia sul mare e dal mare
prendere più avanti le distanze ma sempre a lui tornare
come al centro di se stesso, guardarsi muovere nel tempo
diverso e uguale, sospettando anche di avere acque fredde
e segrete; ognuno come il mare dovrebbe sapere dei fondali
appartati da millenni dove non si va.

Temporali e schiarite, queste piccole aperture dell’universo 
non sono forse cenni di smisurata interiorità?

*

Stelle di San Lorenzo

Non hanno ancora scoperto i Murazzi
in fondo al lungolaguna e oltre le spiagge
quella striscia elegante e incolta
dove passavamo le notti di San Lorenzo
recitando la parte degli adolescenti.
A metà serata io però mi dileguavo 
qualche minuto appena
di fronte al mare, il suo eterno suono d’argento
mi rassicurava di fronte all’evento
spaesante delle persone che crescono
fino a svanire.

*

anche le case se osservate
riflesse sull’acqua sono più vicine al vero
al vacillante

*

Un giorno senza dire niente a nessuno, ignorando
la norma dell’aggrapparsi ad altro, prendi l’unica strada
dove si entra da soli.

In cuor suo ognuno di noi sa di un’alternativa possibile
alla disperazione.

È la via sottile fino al punto massimo di solitudine che si 
dice comprensione, dove il vento del mondo e del nulla
si tengono insieme.

Maddalena Lotter

nota dell’autrice:
I presenti testi sono tratti dalla raccolta:
Questioni naturali, XIV Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2019)

Maddalena Lotter

Maddalena Lotter è nata nel 1990 a Venezia. Il suo primo libro di poesie si intitola Verticale (Lietocolle&pordenonelegge, 2015, collana gialla); suoi testi sono apparsi anche in antologie cartacee (Ladolfi, 2015; Osservatorio fotografico, 2016; Lietocolle, 2018) e in diversi blog letterari, in Italia e all’estero. Ha recentemente pubblicato una nuova silloge di testi, dal titolo Questioni naturali, nel Quattordicesimo Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2019), a cura di Franco Buffoni, con prefazione di Gian Mario Villalta. Insieme ai poeti Sebastiano Gatto e Giovanni Turra, è curatrice della collana di poesia A27, di Amos Edizioni.

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La profondità dell’abitare di Dario Bertini (pref. Andrea De Alberti, XV Quaderno)

In vista delle presentazioni ufficiali del “XV Quaderno di Poesia Italiana Contemporanea” (Marcos y Marcos 2021, a cura di Franco Buffoni) a Milano (16 novembre h16.00, Casa della Cultura, con Paolo Giovannetti, Italo Testa, Franco Buffoni e gli autori) e Roma (6 dicembre h18.30, Più libri più liberi, con Andrea Cortellessa, Franco Buffoni e gli autori) pubblichiamo le prefazioni ai sette poeti antologizzati (Dario Bertini, Simone Burratti, Linda Del Sarto, Emanuele Franceschetti, Matteo Meloni, Francesco Ottonello, Sara Sermini).
1/7 Prefazione di Andrea De Alberti a “Il caffè della sala infermieri” di Dario Bertini.

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