E’ in uscita l’Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea n. 7 (2019) per i tipi di Raffaelli Editore, una pubblicazione che contiene 5 “quaderni” con diversi focus, che potete trovare nel dettaglio alla pagina dedicata.
In questo spazio di MediumPoesia dedicato alla poesia dell’Altrove vogliamo offrire e proporre una piccola anteprima tratta dal Quaderno 5, dedicato alla poesia contemporanea neozelandese, a cura di Jack Ross, Marco Sonzogni e Leonardo Guzzo. “In Nuova Zelanda la poesia contemporanea si esprime in ogni forma e dimensione”, esordisce così Jack Ross, poeta e accademico che da anni cura lo storico annuario New Zealand Poetry Yearbook, per poi entrare nel merito delle tendenze più significative da lui riscontrate in ambito poetico contemporaneo, in Nuova Zelanda, che si muovono entro ambiti linguistici fluidi mutuati da provenienze multiculturali, e contemplano tematiche politiche e di attualità sociale, declinati da poeti di generazioni anche molto distanti fra loro. Un quadro interessante, “frutto di un’indagine che non intende omaggiare maestri, gruppi o scuole particolari, ma dare spazio all’originalità delle voci poetiche”, come sottolineano i curatori.
Oltre alla sua introduzione, nel Quaderno trovate i versi dei seguenti poeti: Aimee-Jane Anderson-O’Connor, Fardowsa Mohamed, Hamish Ansley, Elizabeth Morton, Stu Bagby, Charles Olsen, Tony Beyer, Hayden Pyke, Semira Davis, Essa May Ranapiri, Johanna Emeney, Vaughan Rapatahana, Aigagalefili Fepulea’i-Tapua’i, Emma Shi, Natalie Modrich, John Tarlton (la più giovane è del 2002, il più vecchio del 1947). Le traduzioni sono a cura di altrettanti poeti italiani (Fabiano Alborghetti, Saverio Bafaro, Maria Borio, Lucia Brandoli, Yari Bernasconi, Andrea De Alberti, Massimo Gezzi, Leonardo Guzzo, Francesca Marica, Federica Picaro, Antiniska Pozzi, Rossella Pretto, Flavio Santi, Enrico Terrinoni, Mariadonata Villa, Giovanna Cristina Vivinetto).
EMMA SHI
Traduzione di Francesca Marica
Emma Shi (1996) vive a Wellington. Ha vinto il National Schools Poetry Award 2013. Suoi testi sono apparsi in Landfall e altre riviste letterarie. Studia Lettere classiche e Lingua inglese alla Victoria University di Wellington. Con la poesia it’s ok to lie if you mean it ha vinto il c2on6c6orso Poetry New Zealand 2017.
it’s okay to lie if you mean it
we tell ourselves we’re doing a good thing. a
little girl tugs on my sleeve, asks, why are
you here? her mother sends me an apologetic
smile, but doesn’t take her away. i’m not quite sure.
a younger girl lies on her bed, face scrunched up,
and i almost want to run away. we use
soft voices here, pretend we know why. her
father says thank you and i shake my
head, say, no, i don’t deserve it.
i talk to a small boy who builds castles with
cardboard and glue. the nurse comes in
with a needle and i hold his hand, tell her to be
quick, the syringe like a prayer – maybe this time.
we make spaceships out of air and name them
after stars, say, we are going to the moon. say,
it is so beautiful here. it is so beautiful.
va bene mentire se sai cosa vuole dire
diciamo a noi stessi che stiamo facendo la cosa giusta, una
piccola ragazza mi tira per la manica, chiede, perché sei
qui? sua madre mi rivolge un sorriso di scuse
ma non la porta via. non sono abbastanza sicura.
una ragazza ancora più piccola giace sul suo letto, viso accartocciato,
e quasi voglio scappare. usiamo
voci basse qui, fingiamo di sapere perché. il padre di lei
dice grazie e io scuoto la mia
testa, dico, no, non lo merito.
parlo a un piccolo ragazzo che costruisce castelli con
cartone e colla. l’infermiera entra
con un ago e io gli tengo la mano, le dico di fare
presto, la siringa è come una preghiera – potrebbe essere questa la volta.
costruiamo astronavi dal nulla e le chiamiamo come
le stelle, dico, stiamo andando sulla luna, dico
è così bello qui, è così bello.
ELIZABETH MORTON
Traduzione di Rossella Pretto
Elizabeth Morton (1985) vive ad Auckland. I suoi scritti sono stati pubblicati in Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti, Australia e Irlanda. La sua prima raccolta di poesie, Wolf (Lupo) è stata pubblicata nel 2017 da Mākaro Press. Alla sua poesia è stata dedicata la sezione monografica del Poetry New Zealand Yearbook 2017.
night on the Ward
and the bruise will unfurl like an iris.
you walk the garden in your hospital gown.
the night-time snails crack under your
slippers. the cherry blossom is grey
and the moonlight strokes your face
with latex gloves. you carry a teabag
in a styrofoam cup, cigarettes –
small offerings to whoever casts
spells over Kingseat.
notte in reparto
e il livido fiorirà come un iris.
in giardino, in camice da ospedale,
incrini chiocciole insonni sotto le
pantofole. è grigio il fiore di ciliegio
e la luna ti stira il viso con guanti
di lattice. porti una bustina di tè
nella tazza in polistirene, sigarette –
doni spiccioli a scongiurare i sortilegi
sguinzagliati su Kingseat.
CHARLES OLSEN
Traduzione di Andrea De Alberti
Charles Olsen (1969) vive a Madrid. Nel 1981 si trasferisce nel Regno Unito e nel 2003 in Spagna. Poeta e artista, ha pubblicato la sua ultima raccolta di poesie, Antípodas (Huerga & Fierro, edizione bilingue) nel 2016. Dirige Palabras Prestadas (Parole in prestito), un progetto online di poesia spagnola.
When you least expect
The first, at fifteen, produced a dull ache in the memory. It occurred within earshot during the Royal Institution
Christmas Lecture, Machines in motion.
The second hardly registered – the news was swallowed up in the chaotic Cairo night.
The third left me annoyed. I was late and had to take a detour around Wood Green on my bicycle to
reach my studio.
Fourth time lucky. I’d just left John Lewis department store and was walking down Oxford Street when
police cars came howling past.
The fifth left a more profound echo. I arrived at work to find my students huddled about the radio. They
looked at me as if I were a ghost. ‘How the hell did you get here?’
The following days and weeks were strangely detached.
Saving oneself isn’t only about getting out alive.
Quando meno te l’aspetti
La prima, alle 15:00, produsse un dolore sordo nella mia memoria. Accadde lì vicino durante la conferenza
di Natale, Macchine in movimento, dell’Istituzione Reale.
La seconda: appena registrata- la notizia fu inghiottita nella notte caotica del Cairo.
La terza m’irritò. Era tardi: in bicicletta dovetti deviare intorno a Wood Green per raggiungere il mio
studio.
La quarta volta fui fortunato: avevo appena lasciato il grande magazzino John Lewis e camminavo per
Oxford Street quando le volanti della polizia passarono a sirene spiegate.
La quinta lasciò un’eco più profonda. Arrivai al lavoro e trovai i miei studenti rannicchiati sulla radio.
Mi guardavano e vedevano un fantasma. “Come diavolo sei arrivato fin qui?”
I giorni poi, le settimane, trascorsero in un curioso distacco.
Salvarsi non vuol dire soltanto uscirne vivi.
Articolo a cura di A.Pozzi