Quando è iniziata la tua storia di poeta?
Non so come raccontare bene questa storia senza farla durare tutta una vita (vedi: la storia di Borges “Sul rigore nella Scienza”). Il mondo della mia infanzia rasenta il fantastico. Due diverse colonie di api costruirono alveari tra il primo e il secondo piano della casa, e nella solitudine della mia prima vita, in una casa che era appartenuta agli antenati di mia madre da (ormai) 180 anni, la cultura materiale del passato si è fatta insistentemente presente. Il leva torsolo di mela in alluminio che usavamo in cucina, il telaio in ghisa nella stanza in cui dormivo, la stessa lampadina Edison che si bruciò nell’ingresso, tutto era stato usato quotidianamente dalle prozie, dai loro genitori e dai loro genitori prima di loro (quegli antenati: sia mitizzati che assolutamente ordinari) cento anni fa o più, e che rimangono per lo più nell’uso quotidiano ancora oggi. (La lampadina di Edison si bruciò nel 1986, lo stesso giorno in cui morì mio nonno materno.) Ciò che emerge da una tale educazione non è necessariamente la poesia, quanto l’apertura alla possibilità narrativa e il rifiuto di una diretta linearità.
A differenza della prosa, che tende a richiedere una relazione coerente con la verità rispetto alla finzione, i relatori della poesia si muovono facilmente tra la verità autoriale (obiettivo almeno entro i limiti della poesia) e i percorsi biforcanti delle verità immaginate. Anche la poesia non si comporta diversamente nei confronti del tempo: si muove facilmente al suo interno. Quindi, in un senso metafisico, potrei affermare che la mia storia di poeta è nata da una particolare comprensione del mondo, che a sua volta è stata affermata dalla poesia e ha trovato una casa in essa.
Per raccontare una storia più concreta, però, c’è questo: quando avevo dodici anni, mi è stata offerta una borsa di studio in un prestigioso collegio. Fino a quel momento ero stata educata in casa e non avevo mai frequentato la scuola in modo formale. Quando ho visitato la scuola, il mio “ospite” (un altro studente, più vecchio e saggio già a tredici anni) mi ha mostrato alcune delle loro poesie. Non avevo mai incontrato qualcuno che scrivesse poesie nella vita reale, e quella sera andai a casa e scrissi immediatamente una poesia: un brano in prosa di tre paragrafi sulle creature spirituali che vivevano al di fuori del tempo. Come studente lì l’anno successivo, ho lavorato sulla rivista letteraria e ho preso lezioni di scrittura creativa con un insegnante che ha sostenuto il mio lavoro e rimane un amato amico oggi. Anche i miei genitori hanno sempre sostenuto la mia poesia. Nonostante sia cresciuta abbastanza povera, i miei genitori erano hippy bianchi che scelsero una vita più semplice e lasciarono le città con il movimento Ritorno alla Terra a metà degli anni Settanta, e furono tra i pochi che vi rimasero, impegnandosi nel lavoro della terra (in non piccola parte, poiché la povertà volontaria come ethos politico diventa sempre involontaria senza la possibilità di fuga data da un fondo fiduciario!). Quindi, sebbene non fossero loro stessi poeti, hanno capito e alimentato la mia curiosità per la scrittura e per le arti. Questo, in definitiva, è probabilmente dove inizia la mia storia di poeta.
Da dove viene il materiale per The Other World ? Sembra che la Natura che immagini e rappresenti provenga da un’esperienza personale, immagino che tu tocchi, respiri, lavori con la terra, così come le immagini relative al mondo animale richiamino azioni e ricordi di una relazione diretta. Dall’esperienza personale, il mondo naturale si espande per comunicare con il mondo simbolico aprendo la visione ad un paesaggio ancestrale. Qual è il tuo rapporto con la natura come fonte e nella tua poetica?
Sono cresciuta in una fattoria sgangherata nella campagna del Texas (che, per quanto ci provi, è il modo in cui comincio qualsiasi storia su di me), e ho trascorso gran parte della mia infanzia esplorando le insenature e i boschi intorno alla nostra casa. Mia madre coltivava orti rigogliosi e allevava capre e galline, quindi per un lungo periodo della mia infanzia eravamo quasi completamente autosufficienti. Abbiamo piantato forti file di aglio lungo il recinto e lo abbiamo raccolto ogni anno a seguire, ripropagato le noci pecan e ogni estate abbiamo raccolto prugne selvatiche dai bordi della strada. In una vecchia casa, la natura arriva anche al chiuso molto più di quanto vorresti: sì, le caprette che arrivano in cucina durante il tardo periodo primaverile. Ma anche una civetta che grattava i piedi contro le assi del pavimento della soffitta sopra la mia camera da letto per tutta la notte, e i miei genitori ridono di un momento prima che io nascessi quando, seduto al tavolo della cucina una notte, uno strano liquido ha iniziato a gocciolare, gocciolare, gocciolare dal soffitto. Dopo un momento, si resero conto che era un procione che pisciava su di loro. Non è così diverso, anche adesso; a tarda notte mio fratello saliva le scale fino alla sua camera da letto per scoprire un opossum che partoriva sul suo letto.
Potresti dirci qualcosa sull’uso della punteggiatura come la parentesi, punti mediani e l’uso del corsivo nella poesia The Other World ? E come la lettura (il ritmo) rispecchierebbe queste scelte grafiche? Qual è il tuo processo, e “come leggere” questi versi?
La lunga storia è questa: ho iniziato a lavorare su queste poesie nell’autunno del 2018 come distrazione da un altro progetto (Exile Hieroglyphic, il manoscritto ancora incompleto di poesie tratte dal lavoro sul campo con migranti economici e richiedenti asilo nelle residenze Chungking di Hong Kong). Con queste poesie, che si sono trasformate in un manoscritto lungo un volume chiamato The Other World e in un testo in progress che è in continua metamorfosi, ho deciso di darmi un semplice esercizio per superare il blocco dello scrittore: scrivere un gruppo di sonetti che erano più o meno perfettamente rettangolari sulla pagina. Poiché gli esercizi che mi creo sono di solito radicati nel suono piuttosto che nella storia, mi sono ritrovata a desiderare che la loro risonanza uditiva fosse un po’ più intrecciata di quanto le restrizioni della sintassi inglese (e della narrazione) lo consentano. Dopo molta sperimentazione, ho iniziato a spostare le parole in giro, usando piccoli punti (chiamati punti mediani – un termine non bello!) per contrassegnare lo spazio in cui una parola / frase era stata spostata altrove per creare un ulteriore livello di significato, o per appianare il flusso sonoro o metrico. Per contrassegnare la parola stessa, ho usato le virgolette caporali («questi piccoli angoli a gomito acuto»), per identificare la parola stessa. Ad alta voce, leggo la poesia nel suo ordine “originale”, i significanti punti mediani sostituiti con le parole spostate che originariamente “appartenevano” in quel punto del testo. Detto questo, sospetto che queste poesie non siano particolarmente adatte per essere lette ad alta voce! Soprattutto rispetto al mio lavoro più narrativo (come quasi tutto In the Volcano’s Mouth, che è molto più radicato nella storia).
Questi pseudo-sonetti (io tendo a chiamarli sonetti, ma chiunque applichi rigore alla definizione di sonetto lo metterebbe in discussione!) si interrogano sulla più ampia sfaccettatura concettuale di ciò che significa essere dislocati o disincarnati; con loro, mentre riconfiguro il linguaggio e la sintassi, sto cercando di esplorare il modo in cui i confini dello stato-nazione, il disastro climatico e la forma morfologica assegnata al genere destabilizzano il nostro rapporto con la casa, geograficamente e nel corpo stesso. I punti mediani, sia come titoli che nel corpo delle poesie, indicano l’assenza e l’omissione (del mondo, dell’appartenenza, della forma fisica) con cui si relazionano. Tutto ciò per dire, i punti mediani sono in parte una sineddoche testuale che rappresenta alcune delle domande dei poemi – e suppongo anche degli appunti del processo, mentre sperimento modi di stratificare e unire significato e suono.
a cura di: Antiniksa Pozzi e Silvia Girardi
From: The Other World
(This is only half weird pseudo-sonnets!)
The Other World
(This is only half weird pseudo-sonnets!)
•
To bound as in to run or walk with leap
ing strides, to spring as in upon, or mark
as (a) map (does) the margins of a territory’s re
strictions, its limits or liminal zones. Verb
made adjective, word turned from act
ive to passive: doer unto done to. Obliged
by law or circumstance into certain
ty; tied or made fast; fastened or destined
as in for disaster: a possum is bound to break
fast by burrowing up through henhouse dirt
to devour a bird nest-up. Or • an owl
« the intimacy of » after dusktime hunt: rabbit
borne low across the sky as if caught
by fate – which • backwards in time « unwinds ».
Da: L'altro mondo
(Questo è solo mezzo strano pseudo-sonetto!)
L'altro mondo
(Questo è solo mezzo strano pseudo-sonetto!)
•
To bound come per correre o camminare con passi
balzanti, saltare come sopra, o segnare
come (una) mappa (fa) i confini territoriali
restrizioni, i suoi limiti o zone liminali. Verbo
fatto aggettivo, parola mutata da att-
ivo a passivo: da facente a fatto a. Obbligato
per legge o circostanza ad un certo
legame; legato o stretto; fissato o destinato
come al disastro: un opossum è destinato a ferirsi
scavando nella terra dei pollai
per divorare un uccello annidato. Oppure • una civetta
«l’intimità di» dopo la caccia al tramonto: il coniglio
sospeso nel cielo come se fosse stato colto
dal destino – che • indietro nel tempo «si svolge».
Nota: To bound assume duplice significato di camminare/correre con dei balzi e delimitare/segnare i confini.
•
In the other world, I’m told, I « too » was born • « meant » soon
in the body of a rabbit • to outrun wildfire. I was reck
less, ruing and ruseful, a ravage « In the other world »
of time. • I • like the cry of a little train, « wandered »
shuttling across the valley of « rampant » winter’s woven red
ruin. There, in heaven as in hell, • in their ceremony
« animals » ran • beneath the « cracked- » moon’s milk-
spilt half-woods. There, suburbia’s ecotone’s a • -open oyster
shell « turned red » gone to shards in winter’s ditch-
murk, its gutters • with the mud of the tea sellers’ clay cups
ground back to earth. Here, in the • else | where, « other »
office boys buy oysters on Alibaba, their « guaranteed » air
freight • an « drones’ » afterlife away to arrive borne of • gentle
hands: plastic-wrapped, and certain to contain a pearl.
•
Nell’altro mondo, mi è stato detto, io «anche» sono nato • «pensato» presto
nel corpo di un coniglio • per superare gli incendi. Ero spericolato,
rovinoso e malizioso, una devastazione «Nell’altro mondo»
di tempo. • Io • come il grido di un piccolo treno, «vagavo»
spostandomi attraverso la valle del «dilagante» inverno tessuto di rossa
rovina. Là, in paradiso come all’inferno, • nella loro cerimonia
«animali» correvano • sotto lo «spaccato» dal latte
di luna mezzo bosco. Lì, la periferia ecotona è una • conchiglia di
ostrica aperta «diventata rossa» frammentata nel fossato invernale-
oscuro, i suoi rigagnoli • con il fango delle tazze di argilla dei venditori di tè
terreno indietro alla terra. Qui, nell’ • altro | dove, «altro»
ragazzi di ufficio comprano ostriche su Alibaba, il loro «garantito» trasporto
aereo • un aldilà lontano dei “droni” per arrivare nato da • gentili
mani: avvolte in plastica e sicuramente contenenti una perla.
•
In the other world we use other words, painting
them with water on the desert’s sidewalk under • unwaver
ing « the » sky’s gaze, meant to be eaten immediate
ly by our nearest star: we know we’re brief, a flash
of the magnesium bulb’s Lichtenberg lace or
in the hardpan land we inhabit, unwilling « it’s »
to unloosen • Edenic ancestry to us, to unearth « un
couth » the • treasure which lies (we believe) like an ocean
of luminous fish with their wayfinder’s lanterned
faces beneath us, sufficiently gilded to wake the dead
’s memory of what they no longer own: a form
for the nation-state to take, to inscribe its penal colony’s
penalties upon, or hold, same as we hold our own
souls, which wager against us as soon as they’re able.
•
Nell’altro mondo usiamo altre parole, dipinte
con acqua sul marciapiede del deserto sotto • incrolla
bile “lo” sguardo del cielo, inteso per essere mangiato immediata
mente dalla nostra stella più vicina: sappiamo che siamo brevi, un lampo
del filo del bulbo di magnesio di Lichtenberg o
nella terra rigida che abitiamo, riluttanti «è»
a sciogliersi • Antenati edenici a noi, per sotterrare
«goffi» il • tesoro che giace (crediamo) come un oceano
di pesci luminosi con i volti di lanterna del loro cercatore
sotto di noi, sufficientemente dorati per svegliare dei morti
il ricordo di ciò che non possiedono più: un modello
per lo stato-nazione da assumere, per iscriverci le pene della
sua colonia penale, o trattenere, così come tratteniamo le nostre
anime, che scommettono contro di noi appena possono.
Poesie: Miriam Bird Greenberg
Traduzioni: Silvia Girardi
Miriam Bird Greenberg
Miriam Bird Greenberg è poeta e saggista, con una pratica derivata dal lavoro sul campo. Autrice di In the Volcano's Mouth, che ha vinto il premio Agnes Lynch Starrett 2015, il suo lavoro è apparso su Granta, Poetry, Kenyon Review e altrove. Ha scritto su nomadi, autostoppisti e vagabondi che vivono ai margini degli Stati Uniti ed è attualmente al lavoro su un manoscritto di genere ibrido sui migranti economici e richiedenti asilo delle Chungking Mansions di Hong Kong. Abbandonato il liceo e ex autostoppista, ha ricevuto borse di studio dalla United States' National Endowment for the Arts, dalla Jan Michalski Foundation e dalla Stanford University, dove era membro della Wallace Stegner. Il suo libro d'artista in edizione limitata The Other World è stato pubblicato dal New York-based Center for Book Arts nell'ottobre 2019.