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1. Sguardo e inventio
La disarticolazione del rapporto tra i nomi e le cose. Sostenere lo sguardo del mondo esterno (persone, eventi, paesaggi, oggetti) significa mettere alla prova la grammatica dell’esperienza e del linguaggio. Verificare pulsioni, automatismi, strade senza uscita, nuovi percorsi. Rapporto tra sguardo e inventio. Lo sguardo trova, ritrova, rielabora ciò che è stato già guardato (e in qualche modo già detto), e continua a cercare nello spazio del non ancora guardato, non ancora detto, non ancora codificato.
Lo sguardo, in questo senso, è un dispositivo di verifica linguistica che sonda le capacità e le incapacità, le onnipotenze e le aporie. Il linguaggio, a sua volta, plasma la visione, stabilisce la messa a fuoco, isola dettagli, traccia disegni, rifonda in ogni suo accadere il rapporto di senso tra realtà e verità. La poesia come immagine raddoppiata. Chiusi gli occhi, si ricomincia. La poesia come spazio di buio, raddoppiato.
2. La camera oscura
L’esperimento cartesiano parte dalla constatazione (mai enunciata, ma implicitamente presente) che l’occhio non può vedere se stesso. In compenso – ed è in ciò la sostanza della dimostrazione – è possibile pensare l’occhio in generale; cioè è possibile vederne il funzionamento, è possibile vedere la pittura che si forma sul fondo di un altro occhio, è possibile vedere la vista come meccanismo, e conseguentemente, pensarla in tutta la sua verità. (Stoichita)
(vedere la vista come meccanismo e pensarla in tutta la sua verità)
Sul piano artistico, la cultura della curiosità si fondava su un’ars combinatoria et inve- niendi, mentre quella del metodo (cartesiano) si fonda, per così dire, su un’“ars videndi”. Questa “ars” sostituirà la “macchina combinatoria” della cultura universale con la “macchina per vedere”. Se la cultura universale amava giocare con il “teatro della me- moria”, la cultura del metodo preferirà gli esperimenti della camera oscura. (Stoichita)
(arte della combinazione e arte della visione. Memoria e metodo. Sperimentare)
3. La linea d’ombra
Tutto ciò che pertiene al dominio dei nostri sensi deve esistere in natura e, comunque eccezionale, non può differire nella sua essenza da tutti gli altri effetti del mondo visibile e tangibile di cui noi siamo una parte cosciente di sé. (Conrad)
Ciò che si vede e ciò che non si vede. In mezzo, la linea d’ombra. La linea di demarcazione tra un prima e un dopo, tra essere e non essere, tra le ombre della visione (adolescenza) e la luce dell’accecamento (età adulta). Alle ac- cuse di uso improprio del ‘sovrannaturale’ nel suo romanzo, Conrad rispose sostenendo che ciò che i nostri sensi percepiscono come naturale e ciò che concepiamo come sovrannaturale pertengono entrambi al dominio dei nostri sensi, e appartengono entrambi a quel mondo del quale la nostra natura riesce a percepire solo una minima parte.
(impossibile prendere aria)
Naturale e sovrannaturale egualmente ci misurano. Entrambi sono territori della dissomiglianza in cui permane ciò che non si conosce, e non si conosce ancora, o meglio ciò che non si è ancora adeguato alla norma, al metodo, al codice del nostro sguardo, e che per questo ci parla e ci interroga su ciò che siamo e ciò che scegliamo (di vedere, di dire, di essere).
4. Visio e nominazione
Sguardo come perdita e reinvenzione. Si chiede allo sguardo il compito di assumere su di sé – come mutilazione, frammentazione, escoriazione, ab- bandono – le esperienze volontarie e involontarie dello stare al mondo. Non sempre si sceglie cosa vedere. Si può scegliere di chiudere gli occhi (ma non sempre). Si può decidere il momento in cui riaprirli. Non si può controllare tutto ciò che ricade nello spazio della vista. Lo sguardo può accogliere espe- rienze cercate ed esperienze non volute. Entrambe lasciano segni, ingenerano visioni, fantasmi.
Confessioni. Triplice presente di Agostino. «I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Questi tre tempi sono nella mia anima e non li vedo altrove. Il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro, che è l’attesa» (Ricoeur).
Visio – tempo del tempo presente. Oscillazione di responsabilità e irrespon- sabilità. La nominazione può essere sospesa, il linguaggio può aver bisogno di tempo per reinventarsi, di restare nell’attesa di pensieri, forme, parole per il presente.
(in ogni caso, sostenere lo sguardo dell’ora, dell’adesso.)
Si sostiene ciò in cui si crede, o in cui si vorrebbe tornare a credere; si sostiene che qualcosa possa ancora tenersi insieme, anche se tutto è a pezzi e alla deriva. Sostenere anche il non-essere, il negativo, anche, a volte, il sovrannaturale. Non ritenerlo altro da sé, corpo estraneo da rimuovere, allontanare (Conrad). Ricordarsi della catena. Great chain of being. Riconoscersi nello sguardo dell’altro, minerale e ultraterreno. Lasciarsi attraversare dallo sguardo dell’altro, minerale e ultraterreno.
5. Meno uno al quadrato
The negative is not a ‘fact’ of nature, but a function of a symbolic system, as intrinsically symbolic as the square root of minus one. Whatever the correspondence there is between a word and the thing it names, the word is not the thing. What we say about words, in the empirical realm, will bear a notable likeness to what we say about God in theology. (Burke)
(il negativo è funzione e non fatto, funzione simbolica. Radice quadrata del meno uno. Le parole non sono le cose – non lo sono mai state. Finzioni di sopravvivenza. Kermode, il senso della fine. Le parole che usiamo per parlare delle parole assomigliano alle parole che usiamo per parlare di Dio. Logos. Creazione.)
6. Voi che per li occhi
Per l’uomo del X secolo, o anche del XV secolo, il corpo non era altro che la propria modalità spazio-temporale di esistenza, esempio fisico e concettuale di tutto ciò che, nello spazio, si colloca o si muove. (Zumthor)
Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.
E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.
Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.
(Cavalcanti).
7. L’altra natura
Only the poet, disdaining to be tied to any such subjection, lifted up with the vigour of his own invention, doth grow in effect into another nature, in making things either better than nature bringeth forth or, quite anew, forms such as never were in nature, as heroes, demigods, cyclopes, chimeras, furies and such like. So as he goeth hand in hand with nature, not enclosed within the narrow warrant of her gifts but freely ranging only within the zodiac of his own wit.. (Sidney)
(Superare, con la forza dell’invention, i limiti della natura, e creare «another nature», un’altra natura, superiore agli esempi – concreti e individuali – della storia, e ai precetti – astratti e universali – della filosofia, «quite anew». Usare liberamente il proprio «wit», per creare cose che non esistono, alterando, convertendo e trasmutando le qualità del mondo naturale. Il mondo della natura è bronzo, «the poet only delivers a golden»).
Poetry raise and erect the mind by submitting the show of things to the desires of mind, whereas reason doth buckle and bow the mind unto the nature of things. (Sidney)
(La poesia innalza, erect la mente facendole superare l’apparenza visibile delle cose e il limite della ragione. Creazione poetica e creazione divina: «too saucy a comparison». Per Sidney, la poesia dimostra la volontà divina di fare l’uomo a propria immagine e somiglianza).
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