1. Tra i libri usciti nel primo ventennio degli anni 2000, ne trovi almeno 5 che per te siano fondamentali?
Sono sincero: i libri di poesia che ho amato non appartengono alla contemporaneità. Tra le poesie uscite negli ultimi anni, mi sono state d’ispirazione quelle di Gabriele Galloni, Demetrio Marra, Dimitri Milleri, Francesco Ottonello e altri.
2. Se incontro un poeta, possibilmente, non lo riconosco subito. C’è un modo per riconoscere un poeta? Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?
Sono dell’idea che ciascuno di noi nasconda dentro di sé un poeta. Scrivere una poesia, bella o brutta che sia, è spesso un gesto immediato, accessibile a chiunque. Basta davvero poco: eliminare le sovrastrutture mentali e lasciarsi attraversare dalla vita che ci scorre accanto. Questo è l’esercizio che pratico nella quotidianità per fare poesia.
3. Come è il tuo rapporto, in quanto autore, con i lettori e con i colleghi? Senti di fare parte di una comunità, a cui aderisci?
Ho sempre praticato la poesia nell’intimità della mia “cameretta”. Dunque, per rispondere alla domanda, non faccio parte di nessuna comunità. Anche se mi piacerebbe tanto.
4. Ci sono delle tradizioni poetiche in altra lingua, che conosci o ti affascinano particolarmente?
Nessuna in particolare, anche se nell’ultimo periodo ho letto tanta poesia americana.
5. Nel tuo processo di scrittura, ti capita di raccogliere stimoli da altre forme artistiche o da discipline scientifiche?
Sempre. In particolare, i linguaggi delle discipline scientifiche esercitano su di me un certo fascino.
6. Che rapporto hai con la rima?
Pessimo. Non la utilizzo quasi mai: il canone estetico che ho scelto di seguire non la prevede.
7. Ci sono 3 poeti delle nuove generazioni che ritieni particolarmente preminenti e/o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Gerardo Masuccio, Maria Borio, Giorgio Ghiotti.
Infine ti chiediamo di selezionare dai 2 ai 5 testi, esemplificativi della direzione più recente assunta dalla tua poesia, inediti o provenienti dal tuo ultimo libro.
sradicare dai prati a manciate
ciuffi d’erba calpestata da greggi
in sosta sotto l’afa soffocante –
e nel frattempo l’eterno ritorno
dell’uguale, ciclo e riciclo quando
palingenesi e distruzione fanno
il verso agli hobby estivi, come questo
prendere delle lucertole il posto
e raccogliere e mimare sui sassi
le attese di una quercia ottuagenaria.
*
quel che resta della fine di luglio
boccheggia insieme all’unto dell’asfalto
che sale come da una friggitrice –
quel che resta alla fine di luglio
evapora insieme a parole stanche
come schiene curve sulla mietitura
di un tempo già al passato
*
Lì dove il cuore indugia, trovo te e nient’altro.
Quando sembra non esserci altro istante
che quest’istante.
Trovo te e nient’altro nell’angolo che adesso
scelgo per dare un posto alla speranza,
questo da cui guardo il mondo perdere
il senso della proporzione. Niente è più come
sempre è stato:
nelle torce che deformano il buio della sera,
perfino nel profilo buffo delle nuvole –
vedo che ci sei tu e nient’altro.
*
Lontani ricordi e più lontane paure
seppelliamo in paesaggi inondati dal sole
sferzati da vento maestrale
percorsi da qualche miglio di asfalto –
gli stessi paesaggi che da bovindi affacciati
sul vuoto ci piace biasimare quando della neve
non sentiamo l’odore.
Seppelliamo, dunque – ma ciò che dalle zolle smosse
si schiude sono caricature di volti
nella foschia del mattino, una folla
di gotici spauracchi che volentieri vedresti
laggiù,
inghiottiti nei tombini di una metropoli, relegati
al buio di mondi mai esistiti.
E allora chiudere gli occhi è un esercizio necessario
quando al buio nelle orbite diamo la forma di ciò
che può salvarci. È questo il silenzio sopra case
abbandonate,
i dedali delle strade e un’ombra mi sorride –
sui tetti tante tegole e il caldo fumante
di un camino quando fuori infuria la bufera.
Antonio Faruolo