1. Tra i libri usciti nel primo ventennio degli anni 2000, ne trovi almeno 5 che per te siano fondamentali?
Credo che le fondamenta di una ricerca si gettino su un numero veramente ridotto di autori. Fiato e materia, sedimenti: nella propria voce di una voce altrui. Voce scelta o non scelta; accaduta e avvertita come prossima, da lì approfondita. Fondamentale per il mio sistema di pensiero poetico in tal senso è l’opera di Antonella Anedda. Un libro che risponda ai requisiti richiesti sarà allora Dal balcone del corpo, che fu per me la scoperta della sua poesia nel 2007.
2. Se incontro un poeta, possibilmente, non lo riconosco subito. C’è un modo per riconoscere un poeta? Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?
We do not prove the existence of the poem. / It is something seen and known in lesser poems. Sono due versi di Wallace Stevens. A mio modo di vedere, applicabili non solo o non tanto alla poesia come risultato; ma anche, o soprattutto, ai poeti. Posta in questi termini la questione mi sembra quasi velleitaria. Ironicamente potrei dire che riconosco un poeta quando mi trovo ad una lettura, lì dove è più facile: la poesia esposta, il poeta dichiarato. O forse semplicemente questa domanda tratta di qualcosa a cui non ho mai, o ancora, dato peso; questo perché il riconoscimento (e la riconoscenza) non penso possano ridursi a un’occhiata. Piuttosto direi che sono una ginnastica; strade che si è scelto di percorrere, tempo di questi percorsi.
3. Come è il tuo rapporto, in quanto autore, con i lettori e con i colleghi? Senti di fare parte di una comunità, a cui aderisci?
Anche sulla parola comunità vorrei fermarmi a riflettere. È un concetto molto esigente, che postula al suo interno connotazioni morali, o vero etiche. Preferirei utilizzare la parola consorzio: più netta, concentrata. Indirizzata nell’ordine dei legami tra i partecipanti e meno capiente, in termini di spazio e aspettativa che nel pensiero crea attorno a sé. Detto ciò, come in molti altri ambiti anche qui le possibilità di incontro sono molteplici e possono rivelarsi significative. Vorrei fare il nome di Cristiano Poletti, a cui sono vicino anche in termini geografici e non solo umani. Penso anche a Dome Bulfaro, che per primo accolse la mia poesia, ai tempi del liceo. Infine non posso non nominare Carla Saracino: trovo singolare che una delle più limpide voci poetiche della mia generazione ancora non goda del consenso (di critica e pubblico) che meriterebbe.
4. Ci sono delle tradizioni poetiche in altra lingua, che conosci o ti affascinano particolarmente?
Da anni mi applico per migliorare le mie capacità di accesso alla poesia in due lingue ulteriori alla mia. A partire dalle quali tento traduzioni e studi. La prima è l’inglese, ça va sans dire. La seconda è il francese; un’abitudine dovuta ai miei viaggi in Africa, nel Togo, un paese suo malgrado francofono e di cui questa lingua è cadenza di conquistati. Più che con una tradizione, sono recentemente entrato in contatto con la scena poetica messicana, partecipando a un’antologia bilingue e instaurando un rapporto d’amicizia con il mio traduttore, uno studente della UNAM di Città del Messico, e con Carlos Chavez, l’editore che ha intrapreso il progetto di mappare e tradurre nella sua lingua la poesia contemporanea italiana.
5. Nel tuo processo di scrittura, ti capita di raccogliere stimoli da altre forme artistiche o da discipline scientifiche?
I miei studi sono di natura accademica; ho frequentato Brera, a Milano, diplomandomi in Arti Visive. La scrittura è una pratica da sempre sovrapposta a questo mio gesto primario, indirizzato nel senso dell’immagine. Da qualche tempo inoltre scrivo anche, occasionalmente, d’arte.
6. Che rapporto hai con la rima?
C’è un’artista visiva, Mariacristina Cavagnoli, con cui ho recentemente collaborato curandone il testo critico per un’esposizione. Le ho chiesto che rapporto abbia con le sue matite. Ha sorriso. Credo che non possa esistere tecnica senza il proprio pudore, che in qualche modo la muta. Potrei citare il Castiglione, la sua idea di sprezzatura, ma non è nemmeno questo. Restiamo nei pressi del concetto di pudore. Proprio perché la tecnica, e gli strumenti della tecnica, non sono mai dati per certo ma sempre da provare, consolidare. Temo che altrimenti si rischi di incorrere nell’assolo, nella pura esibizione; dinamiche che non mi appartengono.
7. Ci sono 3 poeti delle nuove generazioni che ritieni particolarmente preminenti e/o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Vorrei menzionare cinque poeti: Stefano Pini, Laura Di Corcia, Gaia Formenti, Damiano Sinfonico, Daniele Orso. Sarebbe interessante sottoporre loro queste domande.
I testi che seguono sono estratti dalla raccolta in lavorazione Revisioni, di prossima uscita con la casa editrice Delta 3 Edizioni.
– Inediti –
le immagini, hai detto
è stato apparire scomparire nelle forme il tempo. te stesso posto nella zona dove l’ombra avanza, tracciando senza fiato segni e voce dentro l’aria. credendo che la linea del passato fosse grande, scorgendo da cornici architettoniche paesaggi
*
le immagini ti comprendono.
lo scrivi tenendo gli occhi chiusi; gli occhi di immagini vividi, arresi
come globi, una santa lucia. le immagini ti comprendono. non le ami dove continuano, le detesti e ovunque collimano. lo scrivi tenendo
gli occhi chiusi. da quel gesto trame, scie, una bava; una pausa inevitabile, meno: il foglio bianco
adesso diventato nero — memoria di cieco
* vanitas:
di bulbo di gemma si schiude la mente; sapiente
che i tulipani recisi si affiancano a teschi e clessidre, che l’erba nasconde esanimi draghi e lo sguardo di santi persi nel cerchio del proprio spavento si affaccia su specchi come vedendosi dentro una nicchia; dietro quel vetro si sfiorano mani, non sfiorate dal vento.
i colori ci pensano. stancano gli occhi le fiamme dei fiori incolti, la terra; vedere in un’ocra quello che altri hanno infranto nel nero, vegliare la cenere, e ora in un brano di cielo l’azzurro seguito fin dentro lo stormo, brunito la notte dentro mille sogni, fissando lontano le ombre di alberi, pali, riguadagnare la posizione di ieri, domani; finalmente guardando laggiù dove non esistiamo
*
Kaufman Sugar Plum Metallic Scenic Striped Periwinkle
Scrivi pervinca per dire stasera cinque disegni di luce gli aerei passano, vanno. Un’aria, un refolo,
un senso di loro il clima lo spinge dagli alberi nell’atrio. Guardi, esiti.
Scrivi che esiste
solo per il cielo che sfinisce dai vetri lo sguardo di buio, per le complessità
del gelo che sfacciano l’asfalto, scrivi e anche questo
è pensiero
di un grigio micaceo, di un ferro, per costruire l’estate nell’inverno una volta di nuovo per dire
di questo cemento, di ghiere severe sul fondo. Scrivi.
Il silenzio involge e consola. Dividi
l’idea dalla cosa. Spingila fuori, allontanala dalle tue immagini, dalla memoria.
Scrivi pervinca, gli aerei, le ronde per strada. Scrivine. Liberale.
*
Autoritratto
[…] the precision the hand knows necessary to operate.
Robert Duncan
Ciò che vedi è tempo
ogni notte appare in sogno, ha il tuo volto e guarda te avanzare, prende decisioni nella luce fioca, nell’asperità
fra il corpo e il tavolo; lì, sempre di più, la camera, lo studio, avanti e indietro, come un animale.
Ciò che crei è forma
ogni volta aggiorna la tua storia, è domestica e selvaggia, una sorta di preghiera, o implorazione, tra te e te.
Puoi accostarti al fiume delle immagini, dove ogni parola credi prenda nutrimento, e pensare di esserti salvato. Pensarlo senza più compiacimento.
*
Le parole
La lingua si schiude sul prato.
Vuoi scriverla (è rugiada che brilla nel primo calore)
ma le parole non ti riconoscono.
Pensandole ti addormenti
da questa posizione nella valle stretta, leggera.
Stretta e leggera
la voce che afferma immagini viste nel sogno;
ruoti gli occhi dentro il tenero dell’ombra: è un giorno luminoso, scambi di formiche alle pareti, voci di parenti
al piano nobile si immischiano al sognato.
Ora che sei sveglio ti sorprendi di te sveglio allo specchio. Del noto
che esita tra le lenzuola, opaco
(è opaco il tintinnio che dalla gronda cade). Ti vedi andare alla finestra,
aprirla. Respirare.
Vorresti parlare al vuoto della finestra vorresti dire del vuoto
del prato, del cielo; dell’altezza del vento che spazza ciò che spazza.
Vorresti ma non hai
parole per quello che manca.
Alessandro Grippa