1. Tra i libri usciti nel primo ventennio degli anni 2000, ne trovi 5 che per te siano fondamentali?
C’è solo un libro che reputo fondamentale, ed è ’l mal de’ fiori di Carmelo Bene (Bompiani, 2000), un poema incredibilmente tagliato fuori da qualsiasi discussione sulla poesia. Lo studio da anni, dai tempi universitari, e non mi è mai più capitato di entrare così tanto in un libro. Entro l’anno dovrei pubblicare la mia ricerca, spero possa servire a stimolare una certa curiosità per questo lunghissimo poema. Per il resto potrei nominare altri quattro poeti della mia generazione che credo abbiano scritto dei bei libri, ma dovrei collocarli a distanza siderale dal primo, quindi preferirei non farlo. Purtroppo parliamo di un’opera di livello assoluto che può essere associata solo ai grandi classici.
2. Se io incontro un poeta, possibilmente, non lo riconosco subito. C’è un modo per riconoscere un poeta? Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?
L’unico effetto concreto che ha sulla mia vita sono gli sfottò degli amici, soprattutto di fronte agli sconosciuti. Diversamente non credo che scrivere libri di poesia faccia di un autore un poeta, se implichiamo un qualche giudizio di valore. Non ci sarebbe altrimenti alcuna differenza tra il giocatore di calcetto della domenica e Maradona, non è l’azione in sé a fare l’artista; si tratta di una questione complicata di cui potremmo discutere per un’intera giornata senza mai venirne a capo. È una domanda che mi imbarazza molto, implicherebbe un’autoinvestitura che mi ha sempre dato l’idea di un delirio. Molto spesso quando incontro un poeta lo riconosco da questo delirio.
3. Come è il tuo rapporto, in quanto autore, con i lettori e con i colleghi? Senti di fare parte di una comunità, a cui aderisci?
I lettori sono spesso altri poeti, quando non accade è un piacevole miracolo. Non credo di far parte di una comunità, ma di una rete di rapporti umani in cui si condivide il fare e leggere poesia. Ho coltivato alcune amicizie, si tratta di persone che frequenterei anche senza occupare il tempo con la poesia, perché reali, non ossessionate in maniera negativa. Queste cose non c’entrano nulla con la poesia ma con un sistema competitivo che disprezzo da anni, in vari campi. La competizione, i premi, le onorificenze, dipendono dalle altre persone. Ognuno di noi è invalutabile.
4. Ci sono delle tradizioni poetiche in altra lingua, che conosci o ti affascinano particolarmente?
Ho letto i primi libri dopo aver studiato The Waste Land di Eliot a scuola. Prima di allora non avevo mai avuto a che fare davvero con un libro, pensavo a tutt’altre cose. Ho vissuto un’adolescenza totalmente ignorante e di poco conto. Eliot e Joyce sono i primi autori che mi vengono in mente, mi hanno insegnato a leggere e restano i miei punti di riferimento. In generale gli autori inglesi di quell’epoca mi hanno fatto capire quanto la letteratura possa davvero parlare di noi, prima di allora non ne capivo l’importanza. Leggevo per la prima volta un linguaggio nuovo, vicino: in Italia abbiamo troppo a cuore la tradizione, anche oggi, tant’è che farne parte è l’ossessione dei giovani ribelli di cinquant’anni fa.
5. Nel tuo processo di scrittura, ti capita di raccogliere stimoli da altre forme artistiche o da discipline scientifiche?
Cerco di interessarmi alle varie discipline umanistiche, come posso. Credo che qualsiasi cosa alimenti il nostro immaginario, che sia un dipinto, una canzone, un ragionamento filosofico, un’architettura in pietra.
6. Che rapporto hai con la rima?
La uso solo in maniera inconsapevole, può servire per creare ritmo, ma seguire uno schema prefissato mi fa venire subito la claustrofobia. In musica la usano soprattutto nei ritornelli per far memorizzare la canzone a chi la ascolta. La uso in questo senso, come messaggio subliminale acustico.
7. Ci sono 3 poeti delle nuove generazioni che ritieni particolarmente preminenti e/o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Lorenzo di Palma, Gianluca Garrapa, Claudia di Palma. Tre persone che parlano poco ma che hanno tanto da dire.
Infine ti chiediamo di selezionare dai 2 ai 5 testi, esemplificativi della direzione più recente assunta dalla tua poesia, provenienti dal tuo ultimo libro e/o inediti
da Memoriale del fiume, libro inedito.
I.
Guardate ancora il nostro fantoccio
nel girozigzagare dei ponti immuschiati
cercare legami tra le isolette
le terre molecolari che suonano un tra tra
di peduncoli zompettanti, tacchetti annoiati
che nascondono il segreto del nome:
e quale peccato sarebbe
ora che s’è scoperto criptogramma
trovarsi sepolto in un cumulo di vicoli.
II.
La città frantumata ha un lembo acuminato,
il pungiglione di un’ape, la punta della fiamma
di un vecchio santo, uno spiritello
che ti indica il trampolino di un abisso:
lì la città, antico relitto, s’impenna
e le correnti dei passati remoti
ti trafiggono con lacrime morte.
III.
Tu sei stata la terra amara da cui ci sdradicammo,
e ci trascinavamo insieme nelle valli che non sanno
la disseccata arsura dei tronchi rimasti appesi
ai bordi delle strade, quel confine di croci
che celebrava l’addio al tuo paese;
e ancora so i sentieri che ti abitano e a cui vorrei tornare
per vederti scomparire tra le chiome delle case.
IV.
Abbiamo perso il tempo
a vivere in una casa di attore
che ha fatto di tutto per noi e per i suoi amici,
che hanno distrutto la sua vita e la nostra vita.
E la nostra storia è stata fatta da noi,
e non si può dire niente della verità e del mondo
che ci circonda, di persone che non avremo mai
frequentato da soli;
per cui la verità è che non si può proprio
discutere di una cosa che si fa;
dire che siamo in due non è stato possibile.
V.
Così accade in uno dei tanti giorni
un tale comincia ad articolare
e disfa le trame, le cose
e dalle luci si ricompone
un volto che lo filano i fumi
e suoni e ponti, città circumnavigate
come una peste dovuta,
e dall’alto si vide nel nulla-corpicino,
un punto di costellazione che si sfuma.
Rimparare vorrebbe la voce
a vibrare nelle feste dell’amore
ma qui tutto si chiama e si distrugge.
testi di A.Paiano