L’altramerica si inaugura a ottobre con Hilda Hilst (1930-2004), poeta brasiliana considerata una delle più importanti della letteratura in lingua portoghese del Novecento, la cui opera, ricchissima e versatile, è stata riconosciuta in Brasile solo nell’ultimo decennio. A novembre sarà invece la volta di Ricardo Aleixo (1960), poeta e performer mineiro (è nato a Belo Horizonte, nello stato di Minas Gerais), che rappresenta una delle voci contemporanee più importanti della sua generazione. Seguiremo con autori e autrici di lingua spagnola stabilendo relazioni dentro alle tendenze poetiche dell’America Latina, suggerendo ponti con la nostra realtà europea.
Parlare di poesia latinoamericana intendendola come una creatura unitaria e monolitica sarebbe come parlare di poesia europea: alla fine, cosa significherebbe? È importante, quindi, dire che non esiste un’unica poesia latinoamericana, ma che potremmo parlare, piuttosto, di poesie latinoamericane. Il continente centro e sudamericano costituisce un territorio vastissimo e composito, complesso e contraddittorio, in cui spesso emergono più le differenze che le somiglianze; sarebbe difficile, e anche riduttivo, riassumere questo patrimonio artistico dilatato nel tempo e nello spazio in poche caratteristiche generali. Presa coscienza di questa impossibilità, possiamo comunque intravvedere linee universali che suggeriscono percorsi similari, che condividono non solo la geografia estesa, ma aspetti di percezione e linguaggio. Ci troviamo di fronte a una poesia che si rapporta con realtà storiche e sociali poco edulcorate, a volte molto diverse da quelle europee, in cui emergono temi distanti dai nostri: società che si basano ancora sul colonialismo, in cui la schiavitù non è stata in verità abolita, ma ha solo cambiato nome in “servitù”; questioni identitarie in cui si rivendicano diritti che non dovrebbero essere prerogativa di pochi; un altro modo di pensare la natura e l’ambiente.
In America Latina, come del resto in altri territori del pianeta, esiste una profonda frattura tra politica e arti, e la poesia non è un’eccezione. Darcy Ribeiro (1922-1997), antropologo, storico, scrittore e politico brasiliano, i cui testi sono fondamentali per capire i chiaroscuri della complessa e disuguale realtà del paese, diceva nella riunione del 1977 della Società Brasiliana per il Progresso della Scienza (SBPC) “la crisi dell’educazione in Brasile […] non è una crisi, è un programma” (1). Frase breve ed esatta che riassume senza molti giri di parole la situazione politica e sociale del Brasile — non solo dell’epoca, ma anche quella attuale —, e di molti altri paesi latinoamericani. Quando l’educazione è un lusso, e non un diritto, sempre troveremo profonde fratture sociali ed economiche; quando la politica favorisce lo smembramento dei sistemi di istruzione e cultura, dietro ci sarà sempre un pensiero totalitario, che capisce — e teme — il potere che l’arte, la lettura e lo studio possono dare: liberare.
“Quelli che bruciano i libri” scrive George Steiner “che mettono al bando e uccidono i poeti, sono ben consapevoli di ciò che fanno” (2). La poesia, si sa, ha una forza pericolosa, scomoda: catalizza esperienze non dette, pensieri non razionalizzati; si nutre del desiderio di vita, di cambiamento. L’arte sente e intende, organizza quello che politica e società sfigurano; crea spazio, provando a recuperare anche ciò che si è perso. Steiner dice che “Le relazioni tra la censura e la creatività di prim’ordine possono rivelarsi stranamente fruttuose” (3), che l’arte si rafforza davanti alle pressioni e alle minacce della censura. La poesia e l’arte in America Latina mantengono viva la capacità di indignarsi, di negare il consenso davanti al degrado e all’alienazione (4); si fortificano — e fortificano — davanti all’ombra delle dittature, alla disuguaglianza che apre abissi risucchiando intere parti della popolazione; sono la risposta alla pulsione di morte deformata e deformante che storpia ciò che vive.
L’altramerica si fa carico di questo compito, di far conoscere nuovi modi di fare poesia — non sempre nuovi nella tecnica, ma inediti nella loro percezione —, ricordando, però, che le distanze sono relative e che il barbaro, balbuziente e straniero, non esiste, se non dentro di noi.
Valentina Cantori
San Paolo, settembre 2020
(1) La frase “a crise educacional do Brasil, da qual tanto se fala, não é uma crise, é um programa. Um programa em curso, cujos frutos, amanhã, falarão por si mesmos.” [“la crisi dell’educazione in Brasile di cui tanto si parla non è una crisi, è un programma. Un programma in corso, i cui frutti, domani, parleranno da soli.”] è stata pubblicata in Darcy Ribeiro, Sobre o óbvio. Rio de Janeiro: Guanabara, 1986.
(2) George Steiner, “Quelli che bruciano i libri” in I libri hanno bisogno di noi. Milano: Garzanti, 2020.
(3) George Steiner, “I dissidenti del libro” in I libri hanno bisogno di noi. Milano: Garzanti, 2020.
(4) Mi vengono in mente le parole di Primo Levi che scrive “noi bestie non dobbiamo diventare; […] per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso.” Primo Levi, Se questo è un uomo. Torino: Einaudi, 1958.