Anteprima / Le faticose attese (Graphe.it edizioni, 2025) di Enrico Testa

Pubblichiamo un'anteprima editoriale de "Le faticose attese" (Graphe.it edizioni, 2025) di Enrico Testa, con la prefazione di Giorgio Caproni.

Presentazione [alla prima edizione]

Perso in questa terra di trite ripetizioni e lambiccati ricalchi, devo a Enrico Testa, del quale non conosco né il volto né l’età né il luogo di nascita né altro, due più che piacevoli sorprese.
Dopo avermi colpito in veste di studioso attentissimo e preparatissimo con la sua opera intitolata Il libro di poesia. Tipologie e analisi macrotestuali (il melangolo, Genova 1983), ecco che ora mi spara a bruciapelo una seconda cartuccia in veste di poeta.
È raro, anzi rarissimo che un dottore in poesia riesca ad essere anche poeta. Eppure, queste che Testa mi ha mandato “in visione” (Le faticose attese) non esito a definirle, riprendendo una battuta di Sbarbaro, “poesiepoesie”, così come una volta, quando la guerra lo aveva reso irreperibile, si diceva “caffè-caffè” alla tazzina offerta clandestinamente all’amico, in luogo del solito surrogato. Dopodiché, avendo detto tutto pur senza aver spiegato nulla, potrei anche chiudere il becco e restituire, con un bel grazie e un cordiale saluto, il fascicoletto al mittente.     
Invece no. Sono versi, quelli inviatimi, che mi calamitano, e qualche giustificazione del piacere che mi ha procurato la loro lettura voglio pur darla, anche se del tutto fuori (me ne mancano le doti) d’ogni pretesa o intelligenza critica.    
Intanto, la loro immediata (in entrambi i sensi del vocabolo) leggibilità. Per gustare – per capire, o meglio per “sentire” – ogni singolo componimento, e poi l’intero insieme, non c’è davvero bisogno di tenersi il capo tra le mani.    

Sono poesie – tutte – che sembrano scritte quasi à la lisière de la prose, tant’è apparentemente semplice il linguaggio. Apparentemente, dico. Quindi in guardia. Sotto l’estrema lucentezza di tale semplicità, più d’una volta (anzi il più delle volte) s’aprono baratri da capogiro. Non è infatti un mondo idilliaco, pur se ne ha l’aria, quello di Testa.       
Già il titolo: Le faticose attese, che sùbito propone al lettore non disattento un tema (o problema) terribile, così ricco di profonde implicazioni sacre e profane, qual è appunto quello dell’attesa.
Attesa di che? Non c’è bisogno, credo, di chiederlo a Ludwig Wittgenstein o ad altre auctoritates per provarne il “brivido”.

Oh le infinite faticose attese […]
anche nei giorni passati ad aspettare
che il buio abbracci il sole.

Così comincia e così finisce la poesia che dà il titolo alla raccolta. Ma voglio citare, anche se scelti a caso, questi due piccoli lieder:       

quando
con una musichetta sospirosa
mi fai entrare
per la porticina buia del tuo “mai”
si scoprono
improvvisi
i campi di giacinti
dietro la foresta
– e dietro la sua testa
i lampi della rosa.

 Alla cui “frivolezza” (!), ecco subito seguire:

come imprigionarla
nella torre più alta
di questa terra di sterpi
e guardarla dal basso
dalla sassaia
senza paura delle sue serpi…
come scordarsi
del suo viso di metallo
e allontanare
col solo gesto dell’esclamazione
la sua parola muta,
la menzogna dell’esitazione,
lei che rifiuta
anche il nome…

Son comunque baratri (o, meno enfaticamente, trabocchetti) i quali non tolgono del tutto a Testa (che nei suoi momenti più felici mi ricorda persino un poeta a me carissimo, e talvolta anche “invidiato”, Luciano Erba) quello che in musica si chiamerebbe il brio inventivo, capace spesso di delicati estri ritmici e timbrici, raggiunti — parrebbe — con la più “elementare” naturalezza, e invece frutto di sapiente calcolo.           
Non voglio dir di più.
Per questo “più”, volentieri lascio la parola al critico patentato, contento se qualche editore mecenate, cioè non industrializzato, senza tener conto del mio presente scarabocchio propiziatorio, vorrà invece dar credito al mio caro poeta Enrico Testa. Un editore che magari potrebbe essere – perché no? – l’amico Giorgio Devoto, poeta anche lui prima che stampatore di ormai provata qualità.
Sarebbe un buon servizio reso, oltre che a me, a tutti gli amatori di “poesia-poesia”, molto più numerosi di quanto non si voglia credere.

Giorgio Caproni

 

da “La faticosa attesa”

 

passami il pallone, per favore:
la partita, che sembrava ormai finita
al lento, inavvertito sfiorire del fanciullo,
riprende ogni notte e va avanti senza mete
e dura sino all’alba,
che mi ripesca col suo amo aguzzo
infangato al fondo della rete

*

ti ricordi tu che sei partito
i vagoni innevati passare sulla costa
lungo il mare?
Li guardavamo dalla cima del monte
a febbraio tra gli storni e i tordi
posati sui roveri sui rami del cielo.
Io li ricordo sai
e sul loro filo mi dondolo
come sull’asta del trapezio
dondola la sua anima
l’animale chiamato criceto
dietro la rete nel parco
dietro il velo degli occhi

*

oh le infinite le faticose attese:
i nascondigli le sorprese
i tuoi denti gli occhi ridenti
i nostri sudori i tremori:
c’è sempre qualcosa da fare
anche nei giorni passati ad aspettare
che il buio abbracci il sole

*

rammendare la cucitura che cede
carezzare con la saliva il tuo volto
dormire come un cane sotto il letto
dirti poche parole:
amore, ci sveglieremo assieme
trentamila volte
sotto lo stesso sole

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La profondità dell’abitare di Dario Bertini (pref. Andrea De Alberti, XV Quaderno)

In vista delle presentazioni ufficiali del “XV Quaderno di Poesia Italiana Contemporanea” (Marcos y Marcos 2021, a cura di Franco Buffoni) a Milano (16 novembre h16.00, Casa della Cultura, con Paolo Giovannetti, Italo Testa, Franco Buffoni e gli autori) e Roma (6 dicembre h18.30, Più libri più liberi, con Andrea Cortellessa, Franco Buffoni e gli autori) pubblichiamo le prefazioni ai sette poeti antologizzati (Dario Bertini, Simone Burratti, Linda Del Sarto, Emanuele Franceschetti, Matteo Meloni, Francesco Ottonello, Sara Sermini).
1/7 Prefazione di Andrea De Alberti a “Il caffè della sala infermieri” di Dario Bertini.

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