CITTÀ APERTA
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Costruiamo questa vita monca
fatta di atti mancati poche possibilità tirare avanti.
Gli orizzonti che vediamo non sono lineari, hanno una piega
in mezzo come delle V infinitamente espanse.
Passiamo il sabato a discutere i difetti di un bilocale sulla Casilina
ipotizziamo che trasferirsi ancora più in periferia abbasserebbe la rata del mutuo
attraversiamo Alessandrino Torre Maura Giardinetti e non vediamo niente.
Ma non è alienazione, è qualcosa che non sappiamo spiegare.
Il tempo si ammucchia fuori dalla finestra, il lavoro si assottiglia
come una candela, identità privata e collettiva diventano ogni giorno più divaricate.
Nel legno della nostra convivenza, un parassita ha dissodato un solco.
Potremmo alzare la testa e vedere cosa è fuori, ma fuori
è lo specchio irriflesso di quello che è dentro, ovvero un bisogno
in cui siamo giocati fino all’ultimo lembo di pelle.
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A Roma, Petrarca si è laureato.
Ha rilegato la tesi al Verano,
distogliendo lo sguardo
dalla Minerva,
ha salito le scale
dove è stato ammazzato un ragazzo
chissà se e quanto ha creduto
che fosse per lui un giorno fatale.
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Fine del duemilaquindici
Stamattina davanti al bar all’angolo
un tizio collassava in silenzio
fra le sigarette accese e spente
delle persone intorno.
Adesso è sera e torno verso casa
su un tram sporco e rumoroso, affollato
di facce e lingue sfatte
e stanche, e io sono con loro.
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A lungo siamo stati sulla Prenestina. È stato un anticipo dell’altro e dell’altrove, una felicità familiare fatta di idee, una quiete provvisoria costruita sul rovescio del reale. La notte, l’estate, venivamo svegliati dai roghi accesi lungo la strada. Ci riunivamo in balcone per osservare le auto che scomparivano nell’invadenza del fuoco. Una sera, una volante della polizia speronò una macchina in fuga sulla preferenziale del tram. I due uomini che ne scesero vennero messi pancia-sotto in mezzo ai binari, ammanettati i polsi dietro la schiena, il traffico in tilt. Qualche alba più tardi, dalla finestra del bagno, Giulia vide un vecchio che attraversava le strisce pedonali, due sacchi di plastica appesi alle mani. Mi venne a svegliare dicendo che quella mattina il tram non sarebbe passato che avrebbe fatto tardi a lavoro che all’incrocio davanti al mercato avevano sparso una specie di polvere bianca.
Fabrizio Miliucci è nato a Latina nel 1985, ha pubblicato una raccolta dal titolo Nuove poesie (2010), un saggio sull’attività critica di Giorgio Caproni (2019) e vari articoli di argomento letterario. Vive a Roma, dove lavora come ricercatore e insegnante.