Digitazioni di via n. 1 – La parola venuta fuori dall’estate

Digitazioni di via. Una rubrica di Francesco Ottonello con alcune riflessioni digitate per la via accompagnate da una riscrittura. N. 1 - La parola venuta fuori dall'estate.
Per molti autori e autrici di poesia (meglio usare con parsimonia il termine poeti) esiste il mondo, amaro e brutta cosa, e il mondo poetico, fatto di letture, festival e feste di poesia, spazi inclusivi e rassegne esclusive, giri e rigiri, spesso gli stessi, con lui che va là e lei allora va lì, e ci si rincontra, si brinda alla poesia, si parla di poesia, si è capiti, accolti, compresi.
Ora forse dovrei dire qualcosa di me, uno si aspetterebbe che io dicessi qualcosa di me, che io no, invece, sono il paladino della rettitudine e come il santo omonimo ciancio solitario con le bestie. Non sono così. Di paladini della via retta della poesia ve ne sono altrettanti e anche loro sono parte attiva nella stessa rete, il chiuso cerchio circo, malinconico e brindante, che si allarga e si restringe, parte dello stesso gioco di respiri. Anche io. E forse anche il più mondano ha desiderato di essere il più solitario, e il più indomito ha sognato di essere il centro unico della più grande festa.
Ultimamente ho visto poco il mondo, il mondo quello unico, quello amaro, quello solo, quello bello, quello poetico, perché per lunghi periodi mi acceco per proseguire nell’esistenza. E ora che dischiudo lo sguardo penso alla poesia come a un deragliamento, un invito imprevisto, un dettaglio disatteso. Una sequela di solchi, niente su cui brindare, ma anche niente contro cui scagliarsi e soprattutto niente da difendere. Distese aperte, per nessuno (o per qualcuno?), alcune barriere negli occhi che ostruiscono l’orizzonte. E se le attraversiamo, con il coraggio dell’inconsueto, rilanciamo la scia di un sogno, dal puntino che siamo verso qualcuno (o nessuno?). Verso l’ignoto.
Stare lì solo per questa tensione. Per questo ogni tanto rialzare lo sguardo. Attendere un dialogo vero che ci attraversi. Questo è il mondo della poesia.
 
 

Riscrittura da Paul Celan (Blume)

La pietra.

La pietra nell’aria che io seguii.

Il tuo occhio cieco come la pietra.


Noi eravamo: mani, noi

svuotammo l’oscurità e vi trovammo

la parola venuta fuori dall’estate: fiore.


Fiore – una parola cieca.

Il tuo occhio e il mio occhio

divengono sorgente per l’acqua.


Crescita.

Parete cardiaca dopo parete

si insinua, foglia a foglia.


Una parola ancora, come questa

e i martelli

si libreranno, aperti, via nell’aria.

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Silvia Righi | In direzione uguale e contraria. Sulla poesia di Laura Di Corcia

“In tutte le direzioni” (Laura Di Corcia, lietocolle&pordenonelegge) è una contro-Odissea, il canto in cui il ritorno è una meta a cui non aspirare e il passato non è una spinta ma una condanna, e deve essere inibito per la pura sopravvivenza. Silvia Righi recensisce l’ultimo libro della poetessa Laura Di Corcia, uscito dopo due anni dalla plaquette “Traduzione e microsismi” (2017) (Rimini/ParcoPoesia).

Con poesie lette ad alta voce dall’autrice.

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Ultima Eldorado, nella trasparenza, Maria Borio, Ilaria Mai, Tommaso Di Dio, Poesia, poesia contemporanea

da Ultima*Eldorado | “Nella trasparenza” di Maria Borio

Ultima*Eldorado custodisce una raccolta di quattro interventi di poetica. Maria Borio, Lorenzo Carlucci, Carmen Gallo e Francesco Terzago hanno perlustrato la terra della scrittura, i propri limiti, i propri desideri, portando alla luce ciò che hanno trovato nel percorso.

Eldorado è il sogno degli uomini che vivono fra le poche cose del mondo; e che scavano per cercare. E così trovano non come restare, ma i resti di tutte le cose del mondo.
​Una teoria di reperti, senza indicazioni, senza spazio né tempo; colti ciascuno in una prossimità che diventa imitazione reciproca. Esposti, i reperti si sottraggono sia alla curiosità catalogatrice dell’osservatore sia alla pretesa di una narrazione che imponga loro un inizio e una fine. A chi sappia rinunciare a queste pretese, si dischiude un’ulteriore possibilità: l’abbandono al dialogo delle analogie, alla capacità evocatrice dei segni, al loro ritmico ripresentarsi, verso un travalicamento che è ogni volta un discorso da ricostruire nello sguardo di chi sta guardando. Bisogna cedere a questa trappola liberatoria, all’immobile gioco fra le figure che, sebbene schiacciate sulla pagina e mute, continuano a tessere segnali, rimandi, richiami. Bisogna avere pazienza, rimanere avvinti da queste tracce di intensità, fino a quando non osserveremo più reperti – i tasselli di una morta storia – ma il ritmo vivo che li scioglie e li lega: l’oro del tempo, la poesia.
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www.ultimaspazio.com

Qui pubblichiamo un estratto dal saggio di Maria Borio “Nella Trasparenza”.

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