Le poesie che leggerete fanno parte della raccolta intitolata Diritto all’oblio. Il termine, giuridico, indica il diritto da parte di una persona a non essere più ricordata in relazione ad alcuni fatti che l’hanno riguardata in passato.
Sara Sermini è autrice di un libro sulla povertà in Amelia Rosselli, e Dare voce. Poetiche e pratiche di povertà è il titolo del suo progetto per il dottorato di ricerca. Chi rivendica l’oblio si ritrae dall’eccesso per poter fare parlare gli altri. La sua voce, per utilizzare un’immagine di Rosselli, entra da “una finestruola”, da quello spazio minimo è possibile entrare ad occhi aperti nel malessere, in un disagio le cui radici, nere, radioattive, grigio-cemento riguardano tutti. In questo – come ricorda uno degli haiku di Zanzotto in exergo alla prima poesia – l’oblio di cui si parla è “vivente”. La sua malattia è globale, ambientale: “černobyl’ /– stelo d’erba nero”. Chi scrive si espone come ci ha ricordato una volta per sempre Paul Celan, e si espone in avanti come ci ha ricordato una volta per
tutte Arthur Rimbaud.
Nella silloge di Sermini l’esporsi in avanti non riguarda – o non riguarda solo – la riflessione sulla poesia, ma la realtà. L’esposizione è “a testa nuda”. Si rasano i prigionieri, si rasano i penitenti, i monaci, ma i capelli cadono ed è meglio rasarli nelle malattie. La testa nuda si espone più del corpo nudo, la testa pesa quando ci si china, in avanti. Nella testa ci sono i pensieri. Sermini li accumula
e li osserva, dice io con parsimonia e appena lo fa, si rittira come succede a certe piante sensibili. Non a caso il libro dialoga con competenza, non solo con la poesia: da Lorca a Montale, ma con la botanica e la scienza, conosce gli erbari, i nomi dei fiori, dai più rari ai più usuali. I cardi, le ortiche concretizzano stati mentali diversi: “Carduus // L’aria era irsuta e ispida / come i cardi…”. E ancora
perlustrano geometrizzando lo spazio:
Hypericum perforatum
La neve cade solamente
dentro il triangolo di luce
sotto il lampione.
Nella tazza galleggiano
fiori gialli solamente.
Nessun diavolo da scacciare […]
Catharanthus roseus
Sono soltanto fiori. Trabocchi
di fiori e fiorisci
nella sicurezza dei nomi.
Esiste una trama di sopravvivenza, ci sono cicatrici, ma la pelle si rigenera, le ferite si chiudono. “La realtà è quella del sopravvissuto / Nel bulbo dell’occhio riflesso sul vetro / Piovono case”.
Come si riconosce una poesia? Dal fatto che tiene, conservando la sorpresa, in una strategia di prossimità e distanza. Lettrice di Sylvia Plath, ma nella traduzione non confessionale che ne dà Amelia Rosselli – quando nel saggio su Plath (Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath) la sottrae con lucidità all’angustia di un ritratto troppo ideologico, ristretto a conflitti familiari, riconoscimenti e rivendicazioni – Sermini mostra di saper sorvegliare gli elementi, gli umori della materia che tratta. L’esperienza (una condizione di cui percepiamo la forza, ma che non viene mai esibita) emerge attraverso il rovesciamento prospettico: “le gambe appese al bordo del letto” … “la cruna / dell’ago che sfugge / tra le dita”. Le variazioni sul dolore diventano parentesi, camere della vita (non a caso la citazione dal Quaderno in ottavo di Franz Kafka) che virano verso l’ironia di Montale e vengono, ironicamente, sottolineate da segni:
In Diritto all’oblio una delle strategie di allontanamento/prossimità più interessanti è il ricorso all’etimologia. Il nome viene sviscerato, percorso, battuto da lingue diverse, con slittamenti e richiami che tuttavia non deragliano, ma indicano, constatano: «Sempre lì ti sei domandata / a che punto era la notte. / Avvolta nel senso di freddo / che prende dopo il dolore». L’enigma viene mantenuto attraverso la semplicità disarmata dell’informazione da cartella clinica o da ossario come nel bellissimo incipit della prima parte di Medicago sativa con cui vorrei chiudere questa breve lettura:
Li conservano in teche di ferro battuto
i vostri rami: femori, falangi, radî,
ulne e cumuli di cranî. A seccare
come erba medica che nutre ma non cura.
Antonella Anedda
da Diritto all’oblio, Sara Sermini
…oblivion, yet living oblivion. /…oblio, ma oblio vivente
A. Zanzotto, Haiku for a season / Haiku per una stagione
Sostanze radioattive introiettate:
cesio plutonio e stronzio sotto le cortecce,
nelle fenditure del cemento e nelle radici
nere come il tuo nome: černobyl’
– stelo d’erba nero.
Esercito oggi per dovere di memoria
il mio diritto all’oblio, ora che
si sono fatti spazio nello scheletro
betulle tassi faggi e kaline dalle bacche rosse,
ora che scimmie nere in maschera ballano
sulle carcasse rigide, ora che
non mi fanno più male i capelli.
Mi espongo, in avanti. A testa non bassa
ma nuda come la tua, come le vostre teste.
SARA SERMINI (Varese, 1986) ha studiato a Milano, Lugano e Londra. Ha conseguito un dottorato in Lingua, letteratura e civiltà italiana con un progetto intitolato Dare voce. Poetiche e pratiche di povertà nell’Italia del secondo dopoguerra. Le sue ricerche riguardano in particolare la letteratura in rapporto al pensiero politico, filosofico e sociologico. Ha dedicato una monografia alla figura e all’opera di Amelia Rosselli: «E se paesani / zoppicanti sono questi versi». Povertà e follia nell’opera di Amelia Rosselli (Olschki, 2019).