[…] Ciclicità e straniamento, sono queste due parole che racchiudono tutto ciò che mi ha attratto sin dal primo momento nella poesia di Carrieri. La capacità di ripercorrere, in un moto di avvicinamento e allontanamento, il proprio mondo reinventandolo. Una sorta di giocoliere che in un trick fa ruotare in aria i propri versi eseguendo uno schema preciso, basato tutto sul rapporto di durata e di permanenza in aria, su avvicinamento e allontanamento di ciò che si maneggia: «Si addice al mio verso | l’andamento leggiero | e l’odore bruciato | del fuggiasco». […]
Stefano Modeo
***
Attesa di niente (da Il lamento del gabelliere, 1945)
La luce non mi è stata compagna
sulla terra né l’acqua sorella.
L’affabile acqua piovana
che materna addormenta
il vecchio gabelliere
e la giovane rana.
Avrei voluto chiudere il cielo
come una semplice porta
per restare una giornata
acquattato nell’erba
in attesa di niente.
*
Il silenzio non mi salva (da La giornata è finita, 1963)
Il silenzio non mi salva
la parola non m’aiuta.
Muri aggiungo muri tolgo.
Più mi scopro più mi nascondo.
*
Chèradi, mie isole (da Io che sono cicala, 1967)
Il mastro ho chiuso dei mari
e la rosa dei venti
ho ceduto ai giovani marinai
che partono domani
sulle grandi ali
del libeccio.
Partono allegri
i giovani marinai
e ciechi sono al cordoglio
del capitano
che non si volta
a piangere il bastimento.
In silenzio si estinguono
i capricciosi estuari.
Chèradi, mie isole:
spegnete il raggio verde
dall’iride dei fari.
*
La fidanzata albanese (da Le ombre dispettose, 1974)
In sogno la notte vedo un prato
dove una zingara giovane
fiduciosa mi attende.
Le tende intorno sono spente
come dopo la tormenta di neve
le rovine d’un accampamento.
Di tutta una tribù vagante
una è rimasta risparmiata,
non so se per pietà o dimenticanza:
quell’una non consumata
fiduciosa mi attende.
Se non avesse gli occhi aperti
come gli astri in estate
certamente la riconoscerei:
la mia fidanzata albanese
da millenni abbandonata.
In sogno mi viene incontro
con andamento di ballo,
una sonnambula in allarme.
Mi colpisce il pallore
e anche il suo odore
di confetto bianco
che simula il nevischio.
In sogno le mani infreddolite
riprendono a salire
come quelle della tessitrice
nel fiore incompiuto.
In sogno le dita smarrite
sospinte dal giuoco d’amore
sempre vicine, più vicine
sfiorandomi mi raggiungono
come balestrucci in volo.
In quale carovana strada bivacco,
in quale remoto territorio
lei fu indovina e io calderaio?
In sogno la sua lingua riconosco
e la voce più mobile
del canto del pettirosso.
Con ago e filo forte
la cucii al mio fianco:
chi ci divise nella morte?
In sogno gli anelli riconosco
del nostro primo incontro.
Fiumi e terre confondo,
non uno dei suoi sguardi.
Quando m’allontano dai sogni
lei svanisce come il fumo
e io divento nessuno.
*
Quei pochi (da Fughe provvisorie, 1978)
a Leonardo Sinisgalli
Le notti che mi manca il fiato
chiamo, chiamo con la mano
fuori dal lenzuolo
quei pochi che amo.
Non rispondono:
sono in un altro sonno,
in un altro vuoto
e non mi riconoscono.
***
Raffaele Carrieri (Taranto, 1905 – Lombrici di Camaiore, 1984) a quattordici anni s’imbarca e fugge clandestinamente in Albania, raggiungendola nell’ultimo tratto a nuoto e dove rimane alcuni mesi; da qui prosegue a piedi per il Montenegro. Nel 1920 è a Fiume con D’Annunzio dove viene gravemente ferito ad una mano. Dopo un breve soggiorno a Taranto si imbarca nuovamente, visita i porti del Mediterraneo e alcune città della costa africana. In seguito si trasferisce a Palermo, per due anni, svolgendo il mestiere di gabelliere. In questo periodo scrive le sue prime poesie che, più tardi, faranno parte della raccolta Il lamento del gabelliere (1945). Nel 1923 si stabilisce a Parigi dove conosce i maggiori poeti e artisti dell’avanguardia internazionale. Nel 1930 è a Milano dove comincia a partecipare alla vita culturale come poeta, scrittore, giornalista e critico d’arte. Nel 1953 vince il Premio Viareggio con Il Trovatore. In seguito si aggiudica il Premio Chianciano con Canzoniere amoroso (1959); il Premio Tarquinia-Cardarelli con Io che sono cicala (1967); il Premio Internazionale Taormina con Stellacuore (1970). Ha scritto oltre cinquanta volumi tra saggistica e narrativa, alcuni dei quali tradotti e pubblicati all’estero.