Prendo in prestito da Ceronetti (il mio antico lettore e corrispondente non se ne avrà a male) il titolo della bella prefazione alla sua versione degli Epigrammi. Marco Valerio Marziale è un poeta famoso, ma poco conosciuto veramente e poco letto.
Si ha notizia soprattutto della produzione erotica, che occupa una buona parte della sua vasta opera, e non della poesia riguardante i sentimenti e la vita d’ogni giorno. Nella multiforme, frenetica capitale dell’impero, in cui visse trentaquattro anni per poi tornare nella nativa Spagna, c’era di tutto: splendore, fango, amore, ironia, potere, miserie, bellezza. E lui di tutto ha parlato. Non gli si rende giustizia leggendo solo i versi erotici, che tanto successo riscuotevano nella società del tempo, e per i quali viene ricordato oggi.
Marziale non gode di buona fama per il linguaggio esplicito e realistico, e per l’affrettato e in parte ingiusto giudizio che su di lui fu espresso da Paratore nella sua Storia della letteratura latina (ma non da Concetto Marchesi che gli dedica pagine notevoli in un’altra importante Storia). In realtà egli è il primo poeta ‘urbano’, primo di una sequenza che giunge fino a Baudelaire, fino a Charles Bukowski.
Un poeta interamente calato nella minuziosa realtà di una metropoli, la Roma dei Flavi, e che dall’incessante muoversi dell’esistenza trae motivi di scrittura. Dal centro di quell’universo che era la Roma del primo secolo, seppe raccontare con accenti semplici e concreti, della vita quotidiana, delle amicizie, degli amori, delle passioni, delle manie dei suoi contemporanei, del mondo letterario, e anche degli schiavi. Egli è l’unico, nella letteratura latina classica, che abbia saputo ritagliare un po’ di spazio per qualche reale figura di schiavo (che di quella società costituiva in percentuale la maggioranza), al di fuori degli stereotipi plautini e oraziani. E in quei versi raggiunge sempre, anche formalmente, oltre il proprio gentile sentimento, grande altezza di stile e di immagini.
I suoi quindici libri di epigrammi sono una vita intera scesa nelle pieghe del verso, uno spazio di tempo che solo la poesia con la sua miracolosa sintesi può riuscire a contenere. All’interno della sua opera si trova una vera e propria miniera di informazioni, su ogni argomento, vasta e multiforme come solo una vita può essere: notizie di architettura, di medicina, di sessuologia, di estetica, di filosofia, di psicologia, e perfino di cucina. Nessun altro autore dell’antichità ci ha lasciato un diario così sfaccettato e minuzioso della società in cui è vissuto.
La poesia di Marziale tocca ogni aspetto del vivere e del sentire umano e trova sempre tutte le sfumature espressive possibili (liriche, elegiache, satiriche) dagli accenti più alti al semplice sguardo sulla vita ordinaria. È la caratteristica della letteratura latina del resto (a differenza di quella greca), la prima letteratura ‘moderna’ della storia, che già si rivolge ad un pubblico indifferenziato: alle persone colte e a quelle umili. La si potrebbe definire ‘interclassista’, come in fondo era la società romana. Gli autori latini sapevano guardare in ogni angolo del quotidiano: nel dolore, nella gioia, nella passione, nello scherzo, nel sesso, nell’amicizia, in posti dove noi guardiamo di rado, traendone spunti illuminanti.
Andrea Zanzotto diceva che la poesia è la “storiografia ultima”. Vuol dire che spesso il senso di un’epoca, il valore del suo vissuto, pubblico e privato, si rintraccia, si comprende in pieno, più nella sintesi di una poesia che in tanti, grandi libri di storia. Il colore di un mondo, la sua viva essenza, lo racconta meglio il cuore immediato di un poeta. Come capire a fondo la scena dell’antica Roma all’apice del suo fulgore, se non leggendo le poesie di Marziale, vero specchio di quell’epoca e di quella città, la prima città universale, archetipo di tutte le altre che, da quel momento in poi, in essa si sono guardate e si sono riconosciute. Storiografia ultima: il fondo del ricordo; gli epigrammi di Marziale sono frammenti vivi di quelle antiche stagioni cittadine, di quegli inverni percorsi dalla tramontana, di quelle estati assolate, di quelle persone, di quel tempo per noi perduto e che la sua poesia miracolosamente ci fa vedere, sensazioni e situazioni che sono proprio nostre.
In due degli epigrammi qui riportati con la mia traduzione, scelti per la loro prossimità al nostro contemporaneo, compare il nome di Giulio Marziale, uno degli amici più cari del poeta. Di una quindicina d’anni più grande, portava lo stesso cognome. Era proprietario di una splendida villa sul Gianicolo con una ricchissima biblioteca. Per quanto riguarda il testo latino, mi sono attenuto all’edizione di Oxford.
di Miro Gabriele
Marziale I 86 È il mio vicino, con una mano puoi toccarlo Novio dalle mie finestre. Chi non mi invidia e non mi reputa felice a tutte le ore, perché riesco a godere di un amico tanto stretto? Per me è lontano come Terenziano! che ora governa Siene sul Nilo. Non riesco a cenarci, né a vederlo almeno, né a sentirlo, in tutta la città non c'è chi mi sia cosi distante e così accanto. Devo migrare più lontano, io o lui. Vicino o coinquilino sia di Novio chi non ha voglia di vedere Novio. Vicinus meus est manuque tangi de nostris Novius potest fenestris. Quis non invideat mihi putetque horis omnibus esse me beatum, iuncto cui liceat frui sodale? Tam longe est mihi quam Terentianus, qui nunc Niliacam regit Syenen. Non convivere, nec videre saltem, non audire licet, nec urbe tota quisquam est tam prope tam proculque nobis. Migrandum est mihi longius vel illi vicinus Novio vel inquilinus sit, si quis Novium videre non volt. * Marziale V 20 Se insieme a te, caro Giulio Marziale, potessi godere di giorni tranquilli, disporre di tempo libero e spartire in modo eguale una vera vita: noi né le anticamere né le case dei potenti, né le liti fastidiose e il foro triste conosceremmo, né i ritratti superbi; ma le passeggiate, le chiacchiere, i libri, il Campo, i portici, l'ombra, l'acqua Vergine, le terme, questi sarebbero sempre i luoghi, queste le occupazioni. Ora nessuno dei due vive per sé, e i giorni buoni sente che sfuggono, se ne vanno via, periscono per noi e ci vengono imputati. Se qualcuno sa che cos'è vivere, indugia? Si tecum mihi, care Martialis, securis liceat frui diebus, si disponere tempus otiosum et verae pariter vacare vitae: nec nos atria nec domos potentum nec litis tetricas forumque triste nossemus nec imagines superbas; sed gestatio, fabulae, libelli, campus, porticus, umbra, Virgo, thermae haec essent loca semper, hi labores. Nunc vivit necuter sibi, bonosque soles effugere atque abire sentit, qui nobis pereunt et inputantur. Quisquam vivere cum sciat, moratur? * Marziale X 47 Le cose che fanno la vita più felice, simpaticissimo Marziale, sono queste: fortuna ereditata e non fatta con fatica, un campo non ingrato, il fuoco sempre acceso, mai una lite, rara la toga, la mente tranquilla, forze fresche, il corpo in salute, sincerità prudente, uguali gli amici, ospiti di bocca buona, mensa senza fronzoli, notte non ebbra ma libera da affanni, un letto non triste e tuttavia pudico, un sonno che faccia breve il buio; voler essere ciò che si è, e non preferirgli nulla, il giorno estremo non temere e non desiderare. Vitam quae faciant beatiorem, iucundissime Martialis, haec sunt: res non parta labore sed relicta; non ingratus ager, focus perennis; lis numquam, toga rara, mens quieta; vires ingenuae, salubre corpus; prudens simplicitas, pares amici; convictus facilis, sine arte mensa; nox non ebria sed soluta curis; non tristis torus et tamen pudicus; somnus qui faciat breves tenebras: qui sis esse velis nihilque malis summum nec metuas diem nec optes. * Marziale XI 89 Perché mi mandi, Polla, mazzi di fiori intatti? Preferisco avere le rose stropicciate da te. Intactas quare mittis mihi, Polla, coronas? A te vexatas malo tenere rosas.