1. Tra i libri usciti nel primo ventennio degli anni 2000, ne trovi almeno 5 che per te siano fondamentali?
I miei libri di poesia che amo di più, tanto da portarmi a considerarli miei, sono relativi ai classici più che a autori contemporanei. Ad ogni modo, al di là di una logica antistoricista, anticrociana, posso affermare che vi è una generazione di poeti contemporanei molto validi (anche di scrittori) e se dovessi scegliere un titolo che sintetizza il meglio e che secondo me ha inciso sulla poesia contemporanea è sicuramente Creatura breve e L’estate del mondo di Gabriele Galloni.
2. Se incontro un poeta, possibilmente, non lo riconosco subito. C’è un modo per riconoscere un poeta? Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?
La poesia è una assentazione dal mondo, una dimenticanza, una epochè – vale a dire, una messa tra parentesi. La poesia proprio per questa sua caratteristica intrinseca che ha – risponde solo a proprie regole, a un proprio codice interiore- non risponde alle leggi della definita società comune. La poesia è, per fortuna, libertaria nel senso che non è una merce è invece qualcosa che ha a che fare con il perpetuo, scavalca i tempi e i contesti, le regole del gioco. Non si lascia intrappolare da criteri criminali di potere: in sostanza credo sia qualcosa che Don Milani definiva come ribellione: “ubbidire non è più una virtù”.
Per quanto concerne il poeta, direi che a differenza della poesia è un uomo, quindi fisicamente fatto da essere umano, ha tratti somatici, un pensiero, due gambe e due braccia, una voce. Ma ha, come uomo, una propria storia, un presente da vivere, una ragnatela di affetti senza la quale non può esistere.
3. Come è il tuo rapporto, in quanto autore, con i lettori e con i colleghi? Senti di fare parte di una comunità, a cui aderisci?
Con i colleghi buono, ho molto rispetto dei colleghi. Con i lettori non saprei, il lettore è il pubblico che non conosco e che è comodamente seduto in platea da un teatro a fari spenti dal quale mi esibisco.
Tendenzialmente, per mia natura, sono un solista ma credo da sempre che nulla si può fare da soli: serve sempre l’altro. Da questo punto di vista, mi sento parte della comunità letteraria italiana.
4. Ci sono delle tradizioni poetiche in altra lingua, che conosci o ti affascinano particolarmente?
Direi tutta la poesia dialettale, il più delle volte non traducibile nella lingua italiana o nazionale. Il dialetto è infatti, almeno credo, importante perché libera lo scrittore dal proprio senso di territorietà politica. Presenta delle componenti che la lingua di stato, quella nazionale, non contempla; è molto più colorito, sensibile alla parola singola. D’altronde il dialetto per essere scritto necessita di una propria codificazione linguistica in quanto da secoli e per millenni è legato a una tradizione orale. Tenendo sempre presente che l’italiano è la lingua più bella proprio perché figlia della poesia: una lingua che nasce da un poeta, dunque noi abbiamo il privilegio di parlare una lingua di poesia.
5. Nel tuo processo di scrittura, ti capita di raccogliere stimoli da altre forme artistiche o da discipline scientifiche?
Assolutamente sì. L’arte della pittura, del cinema, del teatro, la letteratura stessa sono fonte dell’ispirazione, parte integrante dello stimolo a creare cose nuove. Ma la vita è quella che mi ispira di più: la vita è l’arte.
6. Che rapporto hai con la rima?
La rima nasce in tempi remoti per una questione legata al mnemonico, alla musicalità del verso e ancora per un aspetto di proprietà autoriale. Attraverso la rima molti autori è come se avessero sviluppato una sorta di acrostico, di firma ai versi. Oggi la rima, tranne in casi eccezionali, non ha più un valore stilistico, non ha più una valenza concreta ai fini estetici e musicali di un brano.
7. Ci sono 3 poeti delle nuove generazioni che ritieni particolarmente preminenti e/o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Sì, uno era Galloni che purtroppo ci ha lasciati molto presto. Altri due sono Antonio Merola (i cui versi sono apparsi su riviste) e Mattia Tarantino.
Testi tratti da: Iuri Lombardi, Dizionario delle notti, Arcipelago Itaca, 2020
Un quanto di luce trafora il muro;
sul margine deserto s’appigliano
le stelle morte cariche di bisbigli;
già so sul ciglio dell’inizio il nome suo
il presagio misterioso e increspato
del viaggio immobile.
*
Albeggio a intermittenza al balcone
la controra recide gli spauracchi,
copre i corpi abbandonati dalla morte;
la sfida sta nell’incedere muto
di un passo di troppo sulla rupe
il sonno è miele nel nido della via
le case serrate sul nulla:
come Dio non ti sento da tempo
Iuri Lombardi