L’altramerica | La vita liquida di Hilda Hilst

MediumPoesia presenta, nella traduzione di Valentina Cantori, una selezione della poesie di Hilda Hilst (1930-2004), poeta, prosatrice e drammaturga brasiliana, che in pochi decenni è diventata una delle voci più importanti della letteratura di lingua portoghese del Novecento. Quelle nell'articolo sono alcune tra le pochissime traduzioni dell'autrice disponibili in Italia.

Hilda de Almeida Prado Hilst nasce a Jaú, nello stato di San Paolo, nel 1930, figlia di Bedecilda Vaz Cardoso, di origini portoghesi, e di Apolônio de Almeida Prado Hilst, giornalista e proprietario di una coltivazione di caffè, figlio di immigranti tedeschi. Dopo la separazione dei genitori si trasferisce con la madre prima a Santos e poi a San Paolo, dove passa gli anni dell’infanzia; nel frattempo al padre è diagnosticato un disturbo psichico, condizione che influirà profondamente non solo nella vita, ma anche nella letteratura della figlia.

La carriera letteraria inizia negli anni Cinquanta, decennio in cui l’autrice pubblica numerosi libri di poesia (Presságio, Balada de Alzira, Balada do festival e Roteiro do Silêncio). In seguito alla morte del padre, avvenuta nel 1966, Hilda Hilst decide di ritirarsi dalla capitale spostandosi in campagna, dove comincia a dedicarsi pienamente all’attività letteraria, scrivendo e pubblicando anche opere di prosa e teatro. In questi anni l’attività poetica rimane costante e molte sono le opere pubblicate, tra cui si ricordano Ode Fragmentária; Poesia (1959/1979), Da Morte. Odes mínimas, Cantares de perda e predileção, Poemas malditos, gozosos e devotos, Alcoólicas, Amavisse, Bufólicas e Do Desejo. Gli anni Novanta segnano l’inizio di un nuovo momento letterario: inizia, infatti, la fase pornografica che darà vita ai testi della “tetralogia oscena”.

Hilda Hilst muore a Campinas nel 2004, avendo ottenuto, ancora in vita, numerosi premi e riconoscimenti; il grande successo, però, è postumo: lo si deve soprattutto alla pubblicazione dell’opera completa (poesia e prosa) da parte della Companhia das Letras, la più famosa casa editrice brasiliana.

Da Presságio (Presagio) – 1950

II

Me mataria em março
se te assemelhasses
às cousas perecíveis.
Mas não. Foste quase exato:
doçura, mansidão, amor, amigo.

Me mataria em março
se não fosse a saudade de ti
e a incerteza de descanso.
Se só eu sobrevivesse quase nula,
inerte como o silêncio:
o verdadeiro silêncio de catedral vazia,
sem santo, sem altar. Só eu mesma.

E se não fosse verão,
e se não fosse o medo da sombra,
e o medo da campa na escuridão,
o medo de que por sobre mim
surgissem plantas e enterrassem
suas raízes nos meus dedos.

Me mataria em março
se o medo fosse amor.
Se março, junho.

II

Mi ucciderei in marzo
se tu assomigliassi
alle cose periture.
Ma no. Sei stato quasi esatto:
dolcezza, docilità, amore, amico.

Mi ucciderei in marzo
se non fosse la nostalgia di te
e l’incertezza del riposo.
Se solo sopravvivessi quasi nulla,
inerte come il silenzio:
il vero silenzio della cattedrale vuota,
senza santo, senza altare. Solo me stessa.

E se non fosse estate,
e se non fosse la paura dell’ombra
e la paura della fossa nel buio,
la paura che sopra di me
spuntassero piante e seppellissero
le loro radici tra le mie dita.

Mi ucciderei in marzo
se la paura fosse amore.
Se marzo, giugno.

Da Balada do Festival (Ballata del Festival) – 1955

XX

Nós, poetas e amantes
o que sabemos do amor?
Temos o espanto na retina
diante da morte e da beleza.
Somos humanos e frágeis
mas antes de tudo, sós.

Somos inimigos.
Inimigos com muralhas
de sombra sobre os ombros.
E sonhamos. Às vezes
damos as mãos àqueles
que estão chorando.
(os que nunca choraram por nós)

Ah, meus irmãos e irmãs…
Ai daqueles que nos amam
e que por amor de nós se perdem.
Ah, pudéssemos amar um homem
ou uma mulher ou uma coisa…
Mas diante de nós, o tempo
se consome, desaparece e não para.

Ouvi: que vossos olhos se inundem
de pranto e água de todo o mundo!
Somos humanos e frágei
mas antes de tudo, sós.

XX

Noi, poeti e amanti
cosa sappiamo dell’amore?
Abbiamo lo stupore nella retina
davanti alla morte e alla bellezza.
Siamo umani e fragili
ma prima di tutto, soli.

Siamo nemici.
Nemici con muraglie
d’ombra sopra le spalle.
E sogniamo. A volte
diamo la mano a quelli
che stanno piangendo.
(quelli che mai piangono per noi)

Ah, miei fratelli e sorelle…
Poveri quelli che ci amano
E che per il nostro amore si perdono.
Ah, potessimo amare un uomo
o una donna o una cosa…
Ma davanti a noi, il tempo
si consuma, sparisce e non si ferma.

Ascoltate: che i vostri occhi si inondino
Del pianto e dell’acqua di tutto il mondo!
Siamo umani e fragili
ma prima di tutto, soli.

Da Amavisse – 1989

Via espessa

I

De cigarras e pedras, querem nascer palavras.
Mas o poeta mora
A sós num corredor de luas, uma casa de águas.
De mapas-múndi, de atalhos, querem nascer viagens.
Mas o poeta habita
O campo de estalagens de loucura.

Da carne de mulheres, querem nascer os homens. E o poeta
preexiste, entre a luz e o sem-nome.

Via spessa

I

Da cicale e pietre, vogliono nascere parole.
Ma il poeta vive
Da solo in un corridoio di lune, una casa di acque.
Da mappamondi e scorciatoie, vogliono nascere viaggi.
Ma il poeta abita
Il campo di alberghi di follia.

Dalla carne delle donne, vogliono nascere gli uomini. E il poeta
già esiste, tra la luce e il senza nome.

*

II

Se te pertenço, separo-me de mim.
Perco meu passo nos caminhos de terra
E de Dionísio sigo a carne, a ebriedade.
Se te pertenço perco a luz e o nome
E a nitidez do olhar de todos os começos:
O que me parecia um desenho no eterno
Se te pertenço é um acorde ilusório no silêncio.

E por isso, por perder o mundo
Separo-me de mim. Pelo Absurdo.

II

Se ti appartengo, è da me che mi separo.
Perdo il mio passo tra i sentieri della terra
E di Dioniso seguo la carne, l’ebbrezza.
Se ti appartengo perdo la luce e il nome
E la nitidezza dello sguardo di tutti gli inizi:
Ciò che mi sembrava disegno nell’eterno
Se ti appartengo è un accordo illusorio nel silenzio.

E per questo, per perdere il mondo
Mi separo da me. Per l’assurdo.

Da Alcoólicas (Alcoliche) – 1990

É crua a vida. Alça de tripa e metal.
Nela despenco: pedra mórula ferida.
É crua e dura a vida. Como um naco de víbora.
Como-a no livor da língua
Tinta, lavo-te os antebraços, Vida, lavo-me
No estreito-pouco
Do meu corpo, lavo as vigas dos ossos, minha vida
Tua unha plúmbea, meu casaco rosso.
E perambulamos de coturno pela rua
Rubras, góticas, altas de corpo e copos.
A vida é crua. Faminta como o bico dos corvos.
E pode ser tão generosa e mítica: arroio, lágrima
Olho d’água, bebida. A vida é líquida.

Cruda è la vita. Presa di ventre e metallo.
Su di lei mi schianto: pietra morula ferita.
Cruda e dura è la vita. Un tozzo di vipera.
La ingoio nel pallore della lingua
Imbrattata, ti lavo le braccia, Vita, mi lavo
Nello stretto-poco
Del mio corpo, lavo le travi delle ossa, vita mia
Unghia tua plumbea, mio manto rosso.
E coturnate vaghiamo per la strada
Rubescenti, gotiche, alte in corpo e calici.
La vita è cruda. Affamata come il becco dei corvi.
E a volte è così generosa e mitica: rivo, lacrima
Occhio d’acqua, bibita. La vita è liquida.

Traduzioni: Valentina Cantori

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vita, cappellani, poetesse, suicidio, novecento, Amelia Rosselli, Sylvia Plath, Antonia Pozzi

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