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L’idea di un luogo leggendario situato al di là del mondo conosciuto fu viva fin dal medioevo quando a lungo si cercò il Regno del Prete Gianni.
da Wikipedia alla voce El Dorado
La prima notizia sul Prete Gianni giunse in Occidente nel 1165, quando l’impera- tore bizantino Manuele I Comneno ricevette una strana lettera, da lui girata al papa Alessandro III e a Federico Barbarossa; il mittente della missiva si qualificava come «Giovanni, Presbitero, grazie all’Onnipotenza di Dio, Re dei Re e Sovrano dei sovrani». La lettera è considerata da molti studiosi come un falso.
da Wikipedia alla voce Prete Gianni
Caro Prete Gianni,
ho riflettuto a lungo sulla lettera da te inviata alcuni secoli or sono e circolata per le cancellerie di tutta Europa prima e, poi, per tutta la rete; e dopo lunga riflessione mi sono deciso a scriverti qualche riga di risposta. Altri illustrissimi prima di me hanno reagito alla tua missiva, dal pontefice Alessandro III, il quale ha redarguito il tuo nestorianesimo, a Umberto Eco, che ha preso spunto dalla tua lettera per un’opera di finzione che celebrasse appunto la finzione, fingendo la tua lettera un falso scritto da un arguto giovinetto di umili origini, tal Baudolino.
Considero qui la tua missiva da un altro punto di vista. La domanda fondamentale che mi pongo è: perché tu, sovrano delle tre Indie, dominatore di un mondo, o – permettimi l’anacronismo – di un Eldorado ricco in gemme, oro, preziosi di genere vario, creature fantastiche, in cui non sono noti il vizio e la sofferenza, dove non si conosce menzogna né misfatto, hai deciso di scrivere una lettera, indirizzandola ai potenti della Terra, rappresentandovi in ogni dettaglio il tuo regno felice e ricchissimo? Mi chiedo quindi: perché chi vive e comanda su un regno di ricchezze inesauribili si prende la briga di scrivere agli altri uomini?
Semplificando un poco la faccenda, il tuo regno, o l’Eldorado, è un luogo ove è cancellata ogni differenza di ceto, carattere e ricchezza. Le gemme e l’oro vi abbondano come materiali comuni, il vizio ne è bandito, non si incontrano animali nocivi o velenosi (quelli creati, secondo qualche dotto, ad educandum, se non ad punendum o ad humiliandum l’uomo); la sola diversità ammessa è quella delle forme delle creature fantastiche (ciclopi, minotauri, draghi addomesticati, blemmi e sciapodi etc.) e delle piante bizzarrissime che lo popolano, ma questa diversità non genera alcun conflitto perché è, appunto, soltanto formale. E’ il regno, direi, della coerenza assoluta, e del bisogno assolutamente soddisfatto.
Non vorrei dire una castroneria, caro Prete Gianni, ma forzando un poco la mano mi viene da pensare che questo tuo regno, questo Eldorado, più che l’espressione di un desiderio umano irrealizzabile sia da intendersi come una proiezione della comune condizione umana.
Non è forse vero, in primo luogo, che ogni uomo, in ogni sua espressione, tende a creare un Eldorado, un regno della coerenza assoluta e della differenza soltanto formale, dominato da un unico sovrano, l’Io? Questo è piuttosto evidente in ogni ambito d’umana creazione: si hanno l’Eldorado del porno, l’Eldorado della matematica, l’Eldorado della musica di questo o di quel genere, l’Eldorado dei gruppi politici. Si ha senz’altro anche l’Eldorado della poesia, cui si potrebbe applicare il verso di un contemporaneo cantore: «ogni tua canzone è uguale a un’altra canzone». Regni ove impera l’assoluta coerenza, l’omogeneità della coscienza informante, la ripetizione delle intenzioni e delle forme, l’espressione che varia soltanto nella pura superficie in cui la coscienza del singolo o del gruppo asserisce se stessa.
«Dal Paradiso che Cantor ha costruito per noi, nessuno potrà cacciarci»; scriveva David Hilbert, deciso a difendere l’Eldorado della Teoria degli Insiemi anche a fronte dell’evidenza della sua incompletezza formale e al rischio della sua incoerenza. Dall’Eldorado della nostra coscienza, analogamente, nessuno vuole essere cacciato, e tende a ripeterne le forme in ogni espressione. Le produzioni umane non sono che immagini di questo Eldorado interiore. Nelle forme prodotte, per esempio in poesia, questo è piuttosto evidente. Proiezioni dell’Eldorado lirico o decostruito dell’Io del poeta, imposte alle intemperie della coscienza altrui. Variazioni infinitesimali o sostanziali su un tema, ma pur sempre infinitesimali se l’unità della coscienza del Re del Mondo (il poeta) è sempre incommensurabilmente più forte delle variazioni che può concedersi.
Eldorado è il luogo natio d’ogni essere umano, e l’essere sovrani del regno ricchissimo e perfetto è la condizione naturale dell’uomo, anche al di là dei confini dell’attività artistica o creativa. La mia coscienza è quel regno sovrab- bondante e omogeneo in cui ogni differenza è cancellata, in cui ogni forma è sussunta sotto la forma sovrana dell’Io, in cui la varietà è permessa solo laddove è compatibile con la coerenza del tutto, sia pure sotto la forma del relativismo o dell’incoerenza formale, quel regno in cui le forme si possono combinare e moltiplicare a piacimento, nell’immaginazione, i corpi ingrandire e deformare a piacere.
Da un regno siffatto nessuno desidera uscire e la maggior parte degli uomini desidera rimanere sovrano incontrastato di esso. Perché, mi chiedo, l’Io sovrano di questo regno si sforza di rappresentarlo ad altri? Perché il Prete Gianni non resta contento del proprio Eldorado e scrive la sua lettera? Perché i poeti scrivono? Perché l’uomo crea?
Volontà di potenza, forse, volontà di sopraffazione, si direbbe, o pure, qualcosa di meno crudele? O al contrario, legge d’amore, comunicatività del bene? «Volere che i beni che vengono a noi, vengano anche agli altri»? Questa è solo una parte della regola dell’amore, o della dilectio, che intera suona così: «Questa è la regola della dilezione, volere che i beni che vengono a noi, vengano anche all’altro, e che i mali che non vogliamo per noi, non li vogliamo neanche per l’altro: conserva questa disposizione d’animo verso tutti gli uomini» (Agostino, La vera religione, 87). E i mali che non vogliamo per noi, sono soltanto la morte, la malattia, il dolore, la vecchiaia, la povertà, o c’è dell’altro?
Dall’Eldorado della propria coscienza, sembra, nessun uomo vuol essere cacciato e, parrebbe, in esso vuole, per volontà di potenza o regola di dilezione, comprendere o stringere l’umanità intera e il mondo.
Ma vi è forse dell’altro se è vero che, forzando ancora un po’ la mano, dall’Eldorado della propria coscienza nessun uomo può essere cacciato.
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