La parabola delle distrazioni e del ronzio
La parabola delle distrazioni e del ronzio
di una zanzara tra luce
e sangue.
E lei che nel frattempo
aderisce al copriletto, pressione
su pressione, si allunga
ricorda un’incisione rupestre.
Fuori, rumori bucherellati dalla pioggia. Saracinesche…
- Perché piangi?
Ma lei niente muta lo interroga, gli occhi
sbarrati come chi non può vedere
dov’è che s’è ferito - è grave?
Non lo sa - Sono
venuto giù come una trave, un ponteggio - si sporge
tra pozzi, pozzanghere.
*
Analisi
Anche il segnale quel giorno era debole
e ti sentivo a scatti.
Metallico e deforme un papilloma.
O addirittura dicevi, con la voce che stenta
al rimbombo della mia, qualcosa di peggio.
Questa mattina invece non piove da giorni
e il freddo è stabile,
la chiamata è limpida.
Limpida che non distinguo dal mio
il tuo silenzio
adesso che sono arrivati i risultati
e ce li ho qui davanti, oltre i vetri della clinica;
che esami e controesami hanno dimostrato
assieme all’avallo cordiale del medico
che davvero adesso niente, ha detto: non c’è nulla.
*
La conta
E niente praticamente ti conto i linfonodi
ingrossati, le ghiandoline appostate
e pronte a esplodere
un giorno come questo, passato assieme ma dentro il mio male
che se mi chiedi, come a un bambino
dov’è che ti fa male
non ho una risposta, continuo a contare.
E magari già adesso che ti tocco svogliato
o mentre entravo, che mi sentivo annegare
magari alla conta davvero mancava un bambino,
quiescente sotto peli incarniti.
«Io ho bisogno di parole –
scandisce bene per sé, poi alza lo sguardo
– anche tuo figlio ne avrà.
Con tutte ’ste parole che non dici –
e questa volta è lei che mi solleva il mento
con delicatezza mi studia il collo,
– ti verrà un tumore alla gola
con tutte ’ste parole che non dici».
Luigi Fasciana
Nei tuoi versi ci sono più voci da attraversare. Si avverte la tensione a un duetto: sono in due a rincorrersi. A un tratto, però, un’interferenza altera il dialogo: una voce resta afona e la domanda non riceve risposta. Quale ruolo assume il dialogo nella tua poesia? E quale spazio accordi al silenzio?
Sono molto attratto dal dialogo. Di conseguenza lo spazio accordato al silenzio è enorme. Sta tutto nel prefisso “dia”, ovvero “inter”, “tra”. Il dialogo è logos diviso, attraversato. È quella parola percorsa e spezzata dal silenzio. Silenzio che se da una parte sta lì a mostrare la discontinuità, la separatezza tra le persone, al tempo stesso crea le condizioni per oltrepassarla. Una delle funzioni del dialogo potrebbe essere ritrovare un silenzio più denso. Il tentativo è allontanarsi dalla risposta pronta, un po’ hollywoodiana, così come dal dialogo degli “io-io” che si accavallano. L’esser-se-stesso è nel silenzio, diceva Heidegger. Credo che un dialogo, o un tentativo di dialogo – al di là di dell’apertura ipocrita e cinica cui allude il termine nel discorso comune, specie politico – debba inglobare questa dimensione extra-linguistica; e sappiamo che anche la poesia spesso ambisce a un silenzio del genere. Qui poi le analogie sono tante: anche la poesia è un logos interrotto, spezzato.
A questo silenzio sembrano sopravvivere gli sguardi. Il faccia a faccia con il volto dell’altro pone l’io all’accusativo, convocandolo, inquietandolo, mettendolo in questione. Credi che la poesia debba tentare un’esperienza di questo tipo? Quanto è decisivo che il testo esponga il lettore a questa nudità?
È vero, a volte la parte di dialogo è più l’interpretazione di uno sguardo. “Io all’accusativo” è una definizione preziosa, grazie. Credo sia un altro dei motivi per cui il dialogo mi attrae. Ora qui in genere ci si avvicina insidiosamente alla retorica del pericolo, dell’esporsi o del mettersi in difficoltà. Spero di cavarmela. Naturalmente se introduco una voce non è perché ho un bel pensierino e la poesia funziona meglio se c’è un “tu” che lo dice. Cerco di assecondare un’alterità più aggressiva. Interiore, e quindi tutt’altro che pacifica. Questa messa in questione di cui parli è fondamentale. Non se ne può più della finta esposizione delle poesiuole sui migranti, oppure del poeta dietro finestre o finestrini che ti dice ancora cos’è la memoria, cos’è il dolore. Per me c’è un momento importante nel secondo Novecento: semplificando, Montale aveva costruito una sorta di bolla poetico-umanistica dentro la quale trovare riparo e resistenza alle avversità storiche, in particolare al nazi-fascismo. Negli stessi anni in cui Montale, inevitabilmente, ammutolisce, Sereni ti scrive una poesia in cui racconta di aver firmato un contratto con degli ex-SS, ovvero che, per questioni di lavoro, è andato a cena con i carnefici. Forse si possono trovare esempi migliori, però a me pare che il passo in avanti di Sereni sia decisivo: è impensabile, oggi, mantenere uno sguardo lucido e riparato, inattaccabile e mai coinvolto. Quel che mi pare anacronistico e spesso manierato in alcune poesie, è proprio l’integrità morale del soggetto.
La corporeità è forse uno dei perni fondamentali della tua poesia. Da una parte l’erotismo si fa territorio da mappare e indagare. Dall’altra c’è la presenza diffusa di un male: i corpi contengono infezioni e intrusioni. I sintomi diventano quindi generatori di discorso e la diagnosi l’atto conclusivo. Quale valenza hanno queste due componenti nel tuo immaginario? In che misura interagiscono tra di loro?
Sì, è vero. L’erotismo mi sembra quasi un luogo, uno spazio dove qualcos’altro accade. O meglio, dove si creano le condizioni, i momenti-limite affinché qualcos’altro si manifesti, venga finalmente a galla. Riguardo al secondo aspetto, rileggendo i testi, forse c’è un tentativo di ritrovare certe vicinanze, per esempio tra “umore” e “umori”, tra male fisico e male emotivo. Oppure assottigliare le distanze tra linguaggio medico e una lingua più tradizionale, lirica; tra dentro e fuori, astratto e concreto, mondo dell’infanzia ed esperienze mature. Trovare le somiglianze mi sembra sempre un percorso di conoscenza, anche laddove questi accostamenti finiscano per stridere un po’.
intervista a cura di Chiara Mutti
Luigi Fasciana
Luigi Fasciana è nato a Palermo nel 1992. Ha studiato a Siena, Rio de Janeiro, Lisbona e Milano, dove vive attualmente. Dal 2015 collabora con la rivista online Formavera. Collabora con MediumPoesia dal 2018 con cui ha contribuito a realizzare la rassegna Poesia & Contemporaneo II edizione.