«Abbi cura di te e guardati dai legami con i bastardi ai piani alti,
perché una volta scoppiata la rivoluzione non ci sarà pietà per i leccaculo»
Gregory Maguire, Wicked
Tra tutti i tabù in cui possiamo incappare navigando nel vasto e incerto oceano che è la sociologia della lettura, la fanfiction occupa sicuramente un posto speciale. Nata come una forma di scrittura punk, al di là delle autorità letterarie, e con il solo apparente scopo di soddisfare gli appetiti di un tipo di lettura elementare, primario, basato sulla proliferazione dei contenuti, nell’ultimo decennio la fanfiction è tuttavia andata incontro – esperienza comune per i fenomeni di nicchia in espansione – ad una serie di operazioni editoriali (e cinematografiche) volte a restituirle una sua dignità come fiction indipendente, non più “di secondo grado”.
Alcuni casi di ripubblicazione dal web (come per la trilogia di 50 sfumature, che era nata come fanfiction di Twilight, o per Il fabbricante di lacrime, il libro più venduto in Italia nel 2022 e originariamente comparso su Wattpad) sembrerebbero poi aver dato una spinta ad altri tipi di scritture, che questa volta nascono già per l’editoria, cioè le “riscritture”: dalle rivisitazioni femministe – almeno negli intenti – del mito greco (con Madelline Miller e tutte le sue numerose epigone), fino ad arrivare naturalmente alle rinnovate mitografie/apologie dei cattivi delle fiabe.
Va da sé che quando Oscar Vault (Mondadori) nel 2022 ha deciso di ripubblicare il romanzo Wicked di Gregory Maguire, una riscrittura della storia dell’innominata Strega dell’Ovest de Il mago di Oz da cui è stato tratto un famosissimo musical omonimo, ci si aspettassero grandi cose. Tuttavia, di Wicked si è parlato poco e tiepidamente, almeno nel belpaese, e forse il motivo va rintracciato nel fatto che il suo solco era già scavato prima che il libro arrivasse sui nostri scaffali.
Anche se pubblicato per la prima volta nel 1995, la realtà del testo di Wicked è stata piuttosto fumosa in quest’ultimo ventennio, oscurata dall’immensa popolarità dell’adattamento teatrale che valse il Tony Award a Idina Menzel nel 2003 e che, a ben vedere, rispecchia molto poco l’anima del romanzo. In Italia, la questione è ancora più spinosa, perché la prima edizione del romanzo (Sonzogno, 2002) consta tuttora di poche copie latitanti che ogni tanto compaiono sul mercato secondario. Bisogna poi considerare la proliferazione di opere che strizzano l’occhio alla fanfiction e che negli anni ‘10 hanno istituito una vera e propria tradizione, consolidando anche un pubblico che si aspetta un’eroina incompresa (possibilmente coinvolta in una storia d’amore quasi impossibile).
Alla luce di tutto questo, si profila un’opera che Wicked avrebbe potuto o dovuto essere, ma che di fatto non è, e forse si intuisce il perché del silenzio che ne ha circondato questa nuova edizione. La malvagia Strega dell’Ovest riproposta da Maguire non cerca l’empatia del pubblico, non vuole piacere, non le interessa giustificare le proprie azioni. Il suo intento, piuttosto, è quello di proporre una visione più dettagliata e complessa di una vicenda storica che avevamo creduto una favola.
Il paese di Oz che si intravede tra le pagine di Wicked, infatti, non è certo la terra macchiettistica e colorata del romanzo di Baum, ma non è neanche semplicemente una sua versione approfondita o riempitiva. È un vero e proprio meccanismo di strutture politiche, economiche, antropologiche: tutt’altro che elementi del fondale, le città, le strade e le tradizioni di Oz invadono la scena ad ogni capitolo, creando una complessità materiale ed emotiva che sta a metà tra l’high fantasy e il romanzo russo. Si tratta di un mondo creato dalla stratificazione irrisolta di molte religioni, descritto dalla prosa pittoresca di Maguire, fatta di immagini vivide e potenti. La sua è una terra bellissima e pericolosa, dove ogni colore è sangue di qualcosa.
Tutto il registro linguistico dell’opera è in qualche modo anti-letterario e consapevole di esserlo: grottesco, bizzarro e spesso parodistico anche nelle interazioni e nei dialoghi tra i personaggi, i quali sembrano in costante lotta contre se stessi e gli altri, a bordo di una folle giostra di idee e di corpi. Mentre lo leggiamo, spesso abbiamo l’impressione di starci “perdendo qualcosa”, come se davvero fossimo degli estranei calati in una terra dalla storia irriducibile.
È in questo pandemonio che prende le mosse la vicenda di Elphaba, la neonata dalla perde verde che diventerà la Strega dell’Ovest. Fin dai suoi primi vagiti capiamo di avere a che fare con una futura dissidente – nella mente come nel corpo. La sua identità razzializzata e intersessuale (e quindi le questioni legate al colore della pelle e ai genitali) non è mai un vezzo di trama o un carattere secondario; è anzi accuratamente inquadrata nei discorsi sul biopotere e sulle istituzioni tramite il quale esso si esercita, e che faranno della protagonista un’anarchica antispecista. «Sono una ragazza per caso, se non per scelta», dirà Elphaba una volta che avrà preso consapevolezza del suo ruolo nei disordini di Oz.
L’identità della protagonista, peraltro, non è l’unico elemento di queerness proposto nel libro, che esplora con spontaneità (ma senza rinunciare alla complessità) forme di relazionalità non monogame e genitorialità altre, basate sulla comunità. E proprio la comunità e il senso di cura ritornano spesso nel libro quando si parla della disabilità della sorella di Elphaba (dettaglio a cui è legata la storia delle iconiche scarpette rosse) oppure dell’impiego positivo che può avere la magia. Dirà Glinda: «[Le streghe nel Glikkus] con i loro incantesimi, impediscono alle vacche di andare a muggire sull’orlo dei precipizi. Chi mai potrebbe permettersi di innalzare uno steccato su ogni burrone? La magia è una pratica locale, un contributo al benessere della comunità».
Tutta la storia di Elphaba ruota attorno a queste tematiche, ed è imperniata sulla continua peregrinazione alla ricerca del perdono e dell’espiazione. La Strega non è nata o cresciuta nell’Ovest, ma lo raggiunge al termine di un viaggio (che è al contempo di natura politica ed emotiva), e ne farà la propria casa, suo malgrado. E se è malvagia, lo è solo per darsi una spiegazione del male che la perseguita, e che non nasce come un impeto oscuro dall’interiorità del suo spirito, ma piuttosto vi si posa, dall’esterno, come una spolverata di fiocchi di neve. La parabola della Strega rende certo che il male è la parte in cui veniamo calate, l’abito che ci viene fatto indossare quando siamo private della voce per raccontare il nostro punto di vista.
Alla luce di tutto ciò, possiamo notare come ben pochi elementi della narrazione di Wicked, da quelli tematici a quelli più meramente formali, calzano nel canone in cui è stato apposto, che è quello del romanzo-riscrittura fantasy post-Twilight. Ma a chi attribuire il (de)merito di una tale svista?
Sentiamo che almeno una parte di colpa debba assumersela una certa editoria italiana mainstream, che per molto tempo ha trattato poveramente la narrativa di genere, senza sapere bene dove e come collocarla, e relegandola (nel caso del fantasy) al ruolo di letteratura leggera, “di evasione”, per bambini o bambinoni, ed è stata incapace di coglierne le più profonde ragioni. Anni di pratiche editoriali su questa scia hanno nutrito un pubblico che, in molti casi, poco o male sa orientarsi nel canone del fantastico, e che si è abituato pigramente ad un certo tipo di testo, che ricalca precisi stilemi, e di cui con il tempo ha finito per volersi ingozzare.
Quando Wicked è stato mandato alle stampe per la seconda volta in Italia ha dovuto reggere il confronto con un libro che non è mai esistito, ma la cui nicchia in libreria era già stata preparata da tempo. E tutte le persone che, di fatto, avrebbero potuto trovare nel romanzo di Maguire una lettura per i loro palati, sono invece state invitate a guardare altrove. Questo articolo nasce proprio dal desiderio di ripristinare l’immagine di Wicked come di un’opera complessa, iperrealistica, sconfortevole, faticosa, ma anche e soprattutto potente, creaturale, conflittuale: profondamente intrecciata alle nostre vite di tutti giorni in quanto identità marginalizzate (persone queer, disabili, non bianche, etc), e orgogliosamente posizionata contro le strutture del potere.