a cura di Francesco Ottonello
e pretendere qualcosa è la sola cosa che resta
Non molti sono a conoscenza dell’Hobby del sonetto di Pier Paolo Pasolini, una raccolta non pensata per la pubblicazione e che si compone di 112 peculiari ed irregolari sonetti scritti all’inizio degli anni Settanta (1971-73), che ha trovato luce integralmente soltanto nel 2003 in uno dei Meridiani Mondadori, Tutte le poesie (a cura di Walter Siti).
L’ossimoro, cifra caratteristica di Pasolini, ritorna anche in quest’opera, a partire dal titolo. Da una parte “sonetto”, forma poetica fondamentale nella lirica italiana, dall’altra “hobby”, parola inglese che sembra dirci che questi testi fossero come delle nugae per il poeta, dei rerum vulgarium fragmenta destinati a rimanere privati (o postumi). Tuttavia, il collante è William Shakespeare, riferendosi Pasolini nello specifico ai sonetti shakespeariani dedicati al fair youth. Infatti, i Sonnets di Shakespeare (1609), a lungo vergognosamente censurati1, sono considerati un caposaldo della poesia omoerotica: dei 154 sonetti, i primi 126 sono dedicati al fair youth, mentre i rimanenti a una dark lady, con gli ultimi due che si chiudono all’insegna di Cupido.
Anche Pasolini rivolge la sua attenzione ad un amato, autobiograficamente corrispondente all’amore della sua vita, l’attore feticcio Ninetto Davoli, che lo abbandonò innamorato di una ragazza, nell’ottica di una famiglia e un matrimonio. Dunque, troviamo un Pasolini inedito – non quello del sesso vitale ed anche violento, consumato col corpo nella furtività e nella notte, con un’ossessione per i ragazzi di vita e con motivi omo-erotici in senso stretto – ma un Pasolini che scrive di amore per l’amato che si allontana, con prevalenza di motivi che potremmo dire omo-affettivi, nascondendo in fondo anche un’omo-rivendicatività. Un Pasolini che qui si distacca da un cosiddetto “paradigma mediterraneo” dell’omosessualità2, proprio di un mondo pre-industriale, bisessuale, di asimmetria nel rapporto omoerotico maschile, per avvicinarsi a quello nordico-occidentale simmetrico, alla ricerca di diritti, borghese, sogno da matrimonio eterosessuale:
Da bravo eroe io risi delle cose umane
che chiamavo a ragione, del resto,
borghesi: una fedeltà coniugale
era il colmo di quel mio giusto disprezzo.
Adesso che non posso trattenervi dall’andare
dove volete, sento con terrore che niente ha benedetto
la nostra unione o ci ha fatto giurare
qualche patto reciproco. In nome dell’affetto
non si può pretendere niente:
e pretendere qualcosa è la sola cosa che resta
a chi è abbandonato, anche se ciò è meschino.
Son ridotto a invidiare in un modo struggente
i legami la cui realtà si manifesta,
anche se non ha più senso, con uno stupido anellino.
Pasolini qui ironizza amaramente sul suo essere profondamente anti-conformista, eroe di una battaglia contro la borghesia, il cui senso nella sua intimità entra in crisi. La relazione che intratteneva con l’amato che lo abbandona è infatti un’unione senza giuramenti e senza diritti, da cui non si può pretendere terribilmente niente. Il disprezzo del mondo borghese si trasforma in invidia per esserne escluso, fondamentalmente, come se, anche se giusto il suo disprezzo per la fedeltà coniugale, contrastatamente invidiasse il simbolico insensato anellino.
Riporto, poi, in mia traduzione il sonetto X di Shakespeare, in cui è espresso l’intenso sentimento per l’amato, in una poesia che si presta a molteplici letture, ma in cui sembra più accettato il fatto che l’amato a un certo punto debba fare famiglia e riprodursi, motivo già presente nella poesia pederastica greca e in autori latini (emblematiche le elegie di Tibullo, che aiuta l’efebo amato, Marato, a conquistare la ragazza Foloe, in un passaggio da eromenos ad erastes). Per questo l’invito finale a salvare la bellezza, non sprecarla, riprodurla in qualche modo. Da ricordare, però, che accanto alla progenie, anche la stessa poesia – che canta un idealizzato amore omoerotico – si configura come mezzo atto ad oltrepassare il corso temporale ed effimero della vita individuale:
Vergogna, negare di amare gli altri
tu che neppure di te ti sai preoccupare,
vero, se vuoi, che sei da molti amato
ma che nessuno ami è più evidente:
tu sei vittima del tuo odio assassino
neppure contro te lo sapresti trattenere
precipitando il bello sotto i tetti in rovina,
io vorrei riparare fosse il tuo desiderio.
Cambia pensiero per farmi ripensare al mio:
l’odio che serbi è forse più bello dell’amore?
Sii soltanto amorevole come davvero sei,
almeno prova per te stesso il tuo cuore:
fai di te un altro te, per l’amore di me
possa ancora la bellezza vivere in te o di te.
Infine, ecco una poesia del poeta contemporaneo Franco Buffoni, assai significativo in un possibile canone3 di poesia omoerotica. Difatti, in Italia è l’autore più rappresentativo di una poesia omoerotica che trova molteplici gradazioni, reinterpretando criticamente la tradizione, con una coniugazione ad istanze sociali della contemporaneità, arrivando a sviluppare una vera e propria poesia di omo-rivendicazione (a partire dalla sezione Naturam expellas furca di Il profilo del Rosa, attraverso quella che potremmo chiamare una trilogia omo-rivendicativa con Noi e loro, Jucci, Avrei fatto la fine di Turing, fino ai più recenti Personae e La linea del cielo). Il testo (da Noi e loro, 2008) fa parte di un intero ciclo omoerotico dedicato all’amato Mehmet («Turco, di etnia curda / Comunista, torturato in galera») ed è espresso anche qui un “bifrontismo” tra un amore da matrimonio omosessuale ed un amore omoerotico da vivere furtivamente “alla mediterranea”:
Ibrahim, detto Brahim alla tunisina
E Mehmet – contratto, secondo l’uso turco –
Qui a Roma.
Un vero mediterraneo abramitico mi sento
Col presepe mentale nei tre desideri.
Oppure volere un limpido fidanzato
Da civilmente sposare
Con le mamme e gli amici contenti?
Magari procreando assistiti
Bimbi da educare al più
Politicamente corretto,
Piuttosto che sostenere
Mehmet alle nozze
Con la badante moldava,
E dal piano di sopra osservarlo
Educare i figli alla caccia e alla lotta
Continuando in silenzio ad averlo nel letto?
In questo componimento, in cui prevalgono motivi di riflessione sul proprio eros, è presentata dall’Io una doppia prospettiva di vita: una si adatta alla via mediterranea, per cui l’amato potrebbe in un futuro andare a nozze con una donna e l’Io ne resterebbe un amante furtivo; l’altra si associa a una vita gay in un società moderna, con la possibilità di unirsi civilmente e procreare con la fecondazione assistita. A questo dilemma pare non ci sia soluzione e questo si evince anche dalla costruzione retorica del testo, impostato sull’interrogazione con un parallelismo. Se l’eros buffoniano, anche a livello ideologico – a differenza di Pasolini – sarebbe aderente ad un amore gay normalizzato e ricalcato senza evidenti disparità su quello etero, nondimeno rimane attratto – come Pasolini – da una tipologia inconciliabile a quel modello, tipica di un mondo più arcaico e di bisessualità diffusa, legata a un modello di eros furtivo, in cui l’amore omoerotico non può essere esclusivo.
1 Come per le Rime di Michelangelo, anche i Sonnets di Shakespeare subirono una censura. Infatti, già nel 1640, John Benson pubblicò la seconda edizione dei sonetti, mutando la maggior parte dei pronomi dal maschile al femminile, cosicché molti sonetti – ed anche quelli più omoerotici – sembrassero indirizzati alla dark lady. La sua edizione divenne la più nota, fino a quando nel 1780 Edmond Malone ripubblico i sonetti nella forma originale.
2 Il critico Luca Baldoni, rifacendosi alla voce Italy dell’Enclyclopedia of Homosexuality, ha evidenziato come nell’Italia del Novecento emergono «due paradigmi di omosessualità maschile, uno che potremmo definire mediterraneo e uno nordeuropeo/occidentale», in Luca Baldoni, Le parole tra gli uomini. Antologia di poesia gay italiana dal Novecento al presente, Robin Edizioni, Torino 2016 (20121), p. 43.
3 Luca Baldoni individua – dopo i centrali nel Novecento Umberto Saba, Sandro Penna, Pier Paolo Pasolini, Dario Bellezza – Franco Buffoni come il «più importante poeta gay italiano contemporaneo», p. 35.
Francesco Ottonello