Nonostante la cosa possa confondere è così: bambinə trans sono sempre esistitə. Le stime sono in crescita[1] e se questo accade non è a causa di mode passeggere, ma perché le informazioni diventano più accessibili, le realtà più disponibili. Non bisognerebbe patologizzare la varianza di genere; il supporto è quella cosa che serve perché troppo spesso si presume la varianza di genere come sbagliata o pericolosa. Serve perché esistono ambienti stigmatizzanti, privi di informazioni veritiere e utili riguardanti questi argomenti.
Da questa falla prende le mosse il libro: da un ambiente pericoloso e dalla voglia di divulgazione.
Un giorno qualcuno bussa alla porta dell’autrice: è una sorta di assistente sociale, che ha ricevuto una segnalazione riguardante i comportamenti troppo femminili della figlia dell’autrice (allora socializzata e conosciuta da tuttə come un bambino). L’episodio è un punto di rottura, una svolta. All’improvviso l’autrice e la sua famiglia rischiano di perdere tutto. Si troverà costretta a trasferirsi nel Nord America più progressista, affrontando, nel farlo, l’evoluzione del suo ruolo di madre nei confronti della figlia transgender. Questo memoir-lettera indirizzato alla figlia non è solo il resoconto di un periodo di cambiamenti e trasformazioni – per tutti i membri della famiglia – ma molto di più.
Ciò che sorprende è la varietà di argomenti trattati e l’accessibilità della forma. Farei leggere questo libro a qualunque genitore (o parente, allevatore, amicə, etc…) volesse approfondire le tematiche riguardanti la transness (esperienza transgender). E se da un certo punto di vista la regola dovrebbe essere sempre quella di leggere opere scritte direttamente da persone transgender, questa in particolare ha comunque dalla sua una peculiarità che potrebbe attrarre facilmente un pubblico esterno: il punto di vista di una madre (progressista) che ama la propria figlia e che è disposta a mettere in gioco tutto ciò che crede di sapere sul mondo per lei.
Carolyn Hays infatti è lo pseudonimo di un’autrice americana già consolidata, che ha deciso di rimanere anonima nel rispetto dell’identità e delle scelte della figlia (che attualmente ha circa 14 anni). L’autrice non è assolutamente estranea al mondo dell’alterità, e nello stesso testo riesce a far emergere tutti gli argomenti portanti dei dibattiti più recenti dei femminismi: la pericolosità dell’assimilazionismo, la transfobia come infezione culturale introiettata da ognunə di noi, le TERF; e nel farlo tocca con mano la contingenza, arrivando a narrare le vicende di J.K. Rowling, il movimento Black Lives Matter, l’America di Trump, il documentario Disclosure [2] sull’importanza delle rappresentazioni trans nei media.
Ne emerge un ritratto vero, vivo e ricco di contraddizioni. Il percorso di una donna che ha tutto da imparare dalla figlia, e che ha capito qual è l’unico principio irrinunciabile dell’amore: il supporto. E da quel supporto nasce tutto il resto: la volontà di informarsi, di divulgare, di rendere il mondo un posto migliore per tuttə, di ascoltare ciò che le persone transgender hanno da dire, di far riemergere le loro memorie e storie collettive, di ricreare il pantheon dei loro miti: «Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, Giovanna d’Arco, Diana Goetsch, Oliver Baez Bendorf, Jennifer Finney Boylan, Nick Krieger, S. Bear Bergman, Janet Mock, Laverne Cox, Lili Elbe, James Barry, Chaz Bono, Billy Tipton, Lucy Hicks Anderson, Gavin Grimm, Jen Richards, Sarah McBride, Danica Roem, Nicole Maines, Aimee Stephens… Lasciamo che i nomi diventino una litania[3]».
Un ruolo fondamentale in questa storia lo gioca, così com’è ormai diventato comune quando si parla di comunità trans, la rete di informazioni e supporto che si crea quasi come atto di sopravvivenza, partendo dal basso. Quando la famiglia della scrittrice capisce che è arrivato il momento di trasferirsi, ad esempio, come uno stormo di uccelli segue gli schemi migratori di persone queer che l’hanno preceduta. Se c’è bisogno, qualcunə in qualche gruppo è prontə con una lista ‘segreta’ di pediatrə e medici che accettano di avere in cura bambinə trans* nel rispetto delle loro identità, oppure di scuole con le migliori linee guida in fatto di identità di genere. Queste liste sono ricavate facendo crowdsourcing tra migliaia di famiglie in tutto il paese: comprendono nomi, luoghi, servizi, conoscenze, racconti che possano garantire dei safe space. È la parte sotterranea di un gigantesco regno, la rete miceliale che mantiene connesse le nostre comunità.
«Quello che ho scoperto è che esistono anche società segrete. […] queste società segrete esistono in silenzio intorno a certe forme di perdita, di dolore e di malattia, di amore, di sostegno e supporto reciproco[4].».
Nonostante abbia trovato alcuni elementi del libro un po’ innecessari (come l’incursione, nell’ultimissima parte, dell’identità cattolica della madre e dei suoi discorsi sulla fede), mi soddisfa rendermi conto di come questi aspetti non siano mai trattati in maniera acritica. La forza del racconto sta infatti nella disponibilità e nello spazio che la madre e la figlia si costruiscono intorno e tra loro stesse: solo quello spazio determina la possibilità di crescita e arricchimento. Il senso di una lettera così può essere riassunto da una frase che la voce narrante rivolge alla figlia come una dichiarazione d’intenti e una richiesta allo stesso tempo: «mi dirai tu come combattere per te».
La transness è un momento di autodeterminazione, un non-luogo di possibilità e crescita, il fattore identitario di unicità di ogni molteplicità: non si può raccontare senza perdersene un po’ per strada. Non si può prescindere ovviamente dal dubbio e dal timore che comporta, dalla paura e dall’incomprensione. Ma è il momento in cui la voglia di complessità e liberazione cede il passo a queste cose, superandole, che comincia il vero cammino. E la gioia che porta con sé si rivela.
«Non so mai quando mi troverò davanti all’odio, ma non so nemmeno quando incontrerò l’amore[5]».
NOTE SULLA TRADUZIONE E SULLA RESA IN ITALIANO
Non avendo purtroppo con me la versione in lingua originale del testo e non essendo riuscitə a trovarne traccia, non so se quanto sto per segnalare è tutto frutto di traduzione letterale o piuttosto resa di espressioni da una lingua a un’altra. Ricordo comunque che la traduzione in italiano è curata da Chiara Brovelli.
Ho trovato nel testo alcune problematicità e le porto qui alla luce. Una tra queste è l’utilizzo improprio del termine outing al posto di coming-out. Mi ha anche lasciatə perplessə l’utilizzo, per tutta la durata del libro, di una formula che può essere sconveniente, cioè ‘i trans’, ‘un trans’ e così via; avrei apprezzato un riscontro con la versione originale per capire se sarebbe stato meglio tradurre con ‘le persone trans’. Infine, alle pagine 348 e 349 ci sono due singoli episodi di misgendering nelle frasi di cui riporto uno stralcio: «una donna trans, che ha affrontato il percorso più avanti, ma che durante l’infanzia era un atleta bravissimo, e poi è diventata una guida…», «Nance Forse, regista e produttrice, primo trans dichiarato a ricevere una nomination…». Ricordo perciò che bisogna riferirsi alle persone trans* sempre e comunque con i pronomi da loro scelti. È un peccato che questi due episodi figurino nel libro visto che per il resto la traduzione è buona.
June Scialpi
[1]http://www.vita.it/it/article/2019/02/15/bambini-e-adolescenti-transgender-i-numeri-veri-e-le-parole-giuste/150696/
[2] Disclosure: Trans Lives on Screen (2020), diretto da Sam Fede. Disponibile su Netflix
[3] Carolyn Hays, Una storia d’amore. Lettera a mia figlia transgender, add editore, 2022, p.162
[4] ivi, p. 279
[5] ivi, p. 134