It was impossible to tell whether it was made
of stone or metal or plastic – or some material
altogether unknown to man.
Arthur C. Clarke
Sepulchrum lunare Adeste, saxa pervaga, Hic illud, unde ceteris hic, quo meare noverat actumque risu post diem hic, non procul Copernico, Heu, quid iaces, levissima, Quid haec sibi volunt domus Quis his serendis verbulis ter annus ut millesimus Quin ipse forsan iamdiu Adeste, saxa pervaga, | La tomba sulla luna Venite, pietre erranti, È qui ciò per cui – bianco, ciò per cui anticamente e, dopo un giorno di risate, immerso quaggiù, verso Copernico, Ahimè, com’è che giaci, leggerissima, Che vogliono mai dire queste case E queste parolette chi si mosse quando l’anno tremila E forse io stesso, a lungo Venite, pietre erranti, |
Una voce oltre la vita.
Nota di lettura di Leonardo De Santis
In Sepulchrum lunare di Gianluca Furnari, la voce chiama a raccolta gli oggetti astronomici per metterli a conoscenza della morte della vita biologica. Si tratta di una notizia di carattere archeologico o fantarcheologico: sulla superficie della Luna “vitae funebris […] repertus est lapis” (lett. “è stata rinvenuta la pietra tombale della vita”).
Siamo al cospetto di un testo nitido e responsabile. La scena ci appare nitida principalmente per due motivi: la chiarezza del latino e l’icasticità dell’immaginario. Il pragmatismo del latino potenzia il nitore della visione, ma lo fa anche il biancore della sabbia lunare, simile a un documento di astronomia sul quale si innesti un’aggiunta: è la tomba, protagonista misteriosa della visione, il centro attorno al quale la voce desidera che gli asteroidi, le novae, la nube di Oort e la materia oscura si accorgano di muoversi.
Una poesia sci-fi
La citazione da Arthur C. Clarke in esergo proietta immediatamente chi legge nell’ambito della fantascienza e del post-apocalittico: come il monolito di 2001: Odissea nello spazio è “composto” da un materiale non conoscibile e quindi non normalizzabile, la tomba della vita è altrettanto priva di un’origine comprensibile. Se, citando ancora Clarke “Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”, lo stesso sembra valere per quest’oggetto, la cui origine ci viene strappata. In entrambi i casi viviamo la sensazione di una spiegazione sottratta, che introduce al mistero del monolito come al mistero di una tomba simulacro della biosfera. Della lapide, infatti, per quanto ci venga nascosto l’autore, conosciamo il probabile scopo: “essere” una traccia della vita nell’universo.
Un futuro oltre la nostra fine: illeggibilità
L’immaginazione poetica porta all’estremo il dato “vita”, sommandolo, riunendolo in un unico oggetto che rappresenta la sua fine, la somma del suo tempo. La tomba sulla Luna è un segno così esteso nel suo tentativo di universalità, che la si deve considerare “inguardabile”: chi è rimasto, in effetti, che possa visitarla?
L’oggetto proposto da Furnari è “per nessuno”, perché non c’è più vita che possa rispondere a questa visione: perfino la voce, per quanto partecipe, deve necessariamente provenire da un tempo diverso da quello della scena. In altre parole, la voce che immagina è assente, come tutta la vita biologica. Non ci sarà alcun “verme vincitore” a superare la morte con altra vita, anche se c’è un’eredità indirizzata alla non-vita, che è una sorta di ultimo destinatario possibile: possono, questi “saxa pervaga”, ereditare almeno il nostro sguardo? No, la voce è nitida anche in questo: né i guardiani di metallo, né le novae o le nubi interstellari possono riscuotere questa eredità.
Il latino del futuro
Se esiste una differenza di arsenale fra l’immaginario di un antico parlante latino e il nostro, non si tratta certamente di una differenza di potenziale, ma soltanto di realtà di riferimento. Animali e luoghi (terrestri e cosmici), oggi comuni, erano nell’antichità, seppure immaginabili, privi di significanti. Così la scelta/invenzione di termini come “tenebrarum scrobes” (“voragini di tenebre”) per indicare la materia oscura, oppure la parola “calliphlox” (“colibrì”) creano un cortocircuito significativo e obbligano l’autore a ragionare simultaneamente su due piani spaziotemporali.
Il presente e il passato devono compenetrarsi, scambiarsi vicendevolmente qualcosa: l’uno deve fare per l’altro ciò che l’altro non potrebbe fare. Dove una lingua del passato si rivolge a un’audience perduta, la lingua della contemporaneità fornisce i concetti e gli oggetti del presente, visioni che un antico romano non avrebbe potuto esperire: una balena che nuota nelle acque del polo, un colibrì nordamericano, o un ammasso di comete.
Se alcune parole non esistono in latino, bisogna inventare un modo per tradurle. Pensiamo a Mors in spatio, poemetto fantascientifico in latino di Fernando Bandini in cui – per citare lo stesso Furnari – “lo straniamento culturale si pone sin dal titolo, in cui Bandini adopera la parola ‘spatium’ come equivalente di ‘universo’ o ‘spazio cosmico’”. In base all’“immaginario einsteiniano – o almeno post-copernicano – che i versi di Bandini presuppongono […], il poeta di sente legittimato a convertire una parola neutra in un’immagine evocativa” (1). Trasfonde quindi, in una lingua morta, la vita della lingua viva, e non perché il latino sia insufficiente, ma l’opposto: l’operazione è rendere trasversale linguisticamente e quindi anche a livello temporale l’immaginazione poetica.
Due forme di immaginazione agiscono a mio parere contemporaneamente: una è poetico-ecfrastica, mentre l’altra è l’immaginazione di un fantasma-lettore nei confronti del quale il poeta è un medium.
A questo proposito, non sapere niente di questa tomba e della sua origine assume un’importanza ulteriore: nessuno deporrà una corona d’alloro su di essa come di fronte al sacello del Milite ignoto. La tomba è un oggetto senza creatore, muto, che commemora qualcuno “a nessuno”. Anche questo “nessuno” è un lettore di riferimento: ascolta la poesia, la fantascienza, l’immaginazione e altre forme di coraggio.
Quando all’inizio di questa nota ho affiancato a “nitido” la parola “responsabile” mi riferivo esattamente a questo: una responsabilità che sia originata dalla combinazione di sincerità e cura nei confronti di lassi di tempo e di spazio (nonché di percezione) molto più grandi di quelli alla nostra portata.
In questa poesia, l’immaginazione poetica affronta questa strada, crede in sé stessa, non si difende dal sogno del futuro. Percepisco questa come sincerità: accettare la propria vulnerabilità, restare esposti alla luce del sogno.
Sepolcro
La tomba, da memento della poesia cimiteriale/crepuscolare, qui è trasfigurata in un manufatto crettato e riassuntivo della vita, che sarà protetto, forse in eterno, da “metallici satellites” (“guardiani di metallo”): la protezione di qualcosa che continua a deperire, qualcosa di fragile, di mortale ancora, che viene protetto da costrutti indelebili, diversi dalla vita estinta.
Qui la tomba somiglia alla vita, è qualcosa di vulnerabile, sciupato, antico: è trascorso un tempo indeterminato dall’estinzione totale avvenuta nel 3022.
Oltre l’ovvietà dell’eco foscoliana, è interessante notare come si presenti anche in questa poesia uno stilema che nei Sepolcri annunciava l’inizio di una nuova sezione, staccata dalla precedente: la presenza del vocativo, che in Sepulchrum lunare non divide, ma al contrario diventa il punto di fusione dell’anello del componimento, lo rende circolare con due quartine speculari poste una all’inizio e l’altra in chiusura.
Il vocativo è qui “una preghiera che non chiede” o una non-preghiera: l’adunata delle “pietre erranti” è inefficace, dato che tutto il cosmo, inerte e al contempo preda di incessanti trasformazioni, sembra assistere e avere sempre assistito solo grazie alla voce che mostra la scena: una commemorazione che non si verifica. La tomba è iper-significativa e al contempo insignificante per le pietre non-spettatrici.
Oltre la presentazione di questo oggetto impossibile, reale e anche magico, emerge l’estetica sci-fi nel momento in cui Furnari fissa con precisione i dettagli di un apparato tecnologico futuristico posto a protezione di questo non-segno di pietra: le “domus crystallinae” (“case / di vetro”) e i “metallici satellites” (“guardiani di metallo”).
Quello che resta della vita dopo la vita è esattamente il presente in cui la voce parla: l’impasto di lingua antica e immaginario contemporaneo genera la trasversalità di una voce che sembra osservare una coesistenza costante dei tempi, una loro sovrapposizione. Eppure la distanza della voce è bilanciata da espressioni del basso parlato latino come “bellissima” (e non “pulcherrima”) in un verso che definirei innamorato come, appunto, “te sustulit, bellissima” (“ti uccise, meraviglia”), che inietta nel testo la partecipazione di una voce non tanto a-temporale quanto invece iper-temporale oppure, per dire meglio ancora: una voce che non considera il tempo un padrone, ma un alleato.
(1) The Encyclopedia of Science Fiction, s.v. Clarke’s Laws. Link: https://sf-encyclopedia.com/entry/clarkes_laws
(2) G. Furnari, La poesia neolatina in Italia nell’ultimo trentennio: alcuni esempi, «L’Ulisse», 23 (novembre 2020), p. 560.
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Leonardo De Santis (Chieti 1990) è laureato in lettere moderne presso l’Università degli Studi di Siena. Scrive e si occupa di poesia e testi per musica. Nel 2021 viene selezionato per il Premio Esordi di Pordenonelegge con la raccolta “Il robot giardiniere”. Dal 2015 collabora assiduamente con compositori Riccardo Perugini, Edoardo Dadone, Andrea Gerratana per l’ideazione di progetti che coinvolgono musica, teatro e letteratura. Suoi testi sono apparsi su riviste online e cartacee fra cui Nuovi Argomenti, Poetarum Silva, Diario di passo di Franca Mancinelli e Minima Poesia e sono stati diffusi su Rai 5, Rai radio 3 (Fahrenheit) NPO radio 4 e Yleisradio Oy.
Gianluca Furnari (Catania, 1993) è dottorando in Filologia, Letteratura Italiana e Linguistica all’Università di Firenze. Ha esordito con la raccolta Vangelo elementare (Raffaelli, 2015, con prefazione di G. Conte), finalista al Premio Rimini 2015 e vincitrice dei Premi Violani Landi 2016, Fiumicino 2016 e Solstizio 2018; suoi testi sono apparsi sulle antologie Post 900 Lirici e narrativi (Ladolfi, 2015), Abitare la parola (Ladolfi, 2019) e Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 (Interno Poesia, 2020) e sono stati tradotti in inglese e galego; tra i suoi componimenti in latino si segnala l’ecloga fantascientifica Leonardus et Saladinus («Renascens», 3, 2021). Per Lay0ut Magazine cura la rubrica di traduzioni e divulgazione Neolatina.