Ho conosciuto Wadih Saadeh due anni fa, d’estate, ad una festa a Milano, ad una festa dove lui non c’era. D’altra parte, pochi come lui sono naturalmente schierati a favore dei diritti fondamentali dell’uomo secondo Baudelaire, il diritto di andarsene e quello di contraddirsi(1).
Il primo diritto di Baudelaire — poeta che lo ha profondamente influenzato — Saadeh lo ha esercitato o, meglio, lo ha dovuto esercitare, sin da molto presto.
Nato nel 1948 a Shabtin, un piccolo villaggio del nord del Libano, all’età di dodici anni Saadeh si trasferisce con la sua famiglia a Beirut. Nel 1962 suo padre muore per via di un incendio. Per sfuggire a questa desolazione inizia a sperimentare con la poesia, come scriverà nella prefazione di Secret Sky(2), un’antologia delle sue poesie in lingua inglese. Nel 1973, dopo il suo primo libro laysa lil massa’ ikhwah (“La sera non ha fratelli”) si trasferisce una prima volta in Australia. Lavora come giornalista e vive ancora a Beirut, Londra e Parigi. Nel 1988 si trasferisce definitivamente in Australia, ove vive tuttora.
Arak significa sudore, in arabo, ma è anche un tipo di acquavite; gocce del sudore della distillazione di uva in fermentazione, lasciata prima addolcirsi al sole: caldo su caldo. Con un significato ben diverso, lo stesso si potrebbe dire delle sere di luglio a Milano. Caldo su caldo: caldo dei condizionatori, caldo delle auto, caldo dei mattoni, caldo del cemento e caldo dell’acqua che galleggia nell’atmosfera.
Nonostante provenga da un calore esponenziale, l’arak, ghiacciato e bianco opaco com’è, diventa un nettare polare che contrasta la stretta dell’afa con la sua leggerezza indefinita. In questo fluttuare freddo che recupero al terzo sorso mi imbatto in Wadih Saadeh, in forma di libro. Una copertina bellissima, nera, con la foto di una nuvola bianca e densa. Sopra alla nuvola, a sinistra, è scritto, sempre in bianco, “A causa di una” e sotto, a destra della nuvola, “probabilmente”. La nuvola, il soggetto che causa non si sa cosa, è assente come parola scritta: un fotogramma che è un pittogramma. La parola è, chissà, diventata vapore o, forse, il fotogramma la copre soltanto ed essa rimane in un’intercapedine immaginaria prima del resto libro.
I libri stampati da Khaled Soliman Al Nassiry sono libri che escono dagli occhi e dalle mani di un poeta che è un editore e che è anche un grafico. A causa di una nuvola probabilmente, uscito nel 2018 per i tipi di Muta — la collana in lingua italiana di Al Mutawassit — come tutti i titoli pubblicati da Khaled è non solo stato da lui scelto, ma anche da lui personalmente disegnato. Ogni immagine scaturisce da un rapporto intimo che interseca autore, editore e contenuto e si incastona a sua volta in un mosaico di cento libri ogni anno.
Sul retro di copertina quattro versi da “Partenza” fondono in un’unica situazione i due diritti di Baudelaire:
Toccò la porta di casa e partì,
lasciando un fiore nel foro della serratura
e sul tetto una nuvola
di sguardi.
Su questo libro, uscito per la prima volta a Beirut nel 1992, Mahmoud Darwish ebbe a dire che era una delle raccolte più importanti di poesia pubblicate negli ultimi anni(3). Saadeh fa parte di una generazione di poeti libanesi sconvolta dalla guerra, una generazione che rompe con le forme poetiche delle precedenti e abbraccia definitivamente la poesia in prosa (qaṣīdat al-naṯr).
Come fa notare Wael Farouq nel suo penetrante saggio introduttivo, il dibattito nel mondo arabo sulla qaṣīdat al-naṯr non può prescindere dal carattere di rifiuto della tradizione che è non solo un rigetto delle forme metriche classiche, ma anche del mondo stesso da cui esse sono sorte. Concepire però questa scelta formale solo come un atto di ribellione è, secondo Farouq, riduttivo e la poesia di Saadeh ne è un chiaro controesempio:
Nell’esperienza poetica di Wadih Saadeh, di oltre quattro decenni, non c’è ribellione. La qaṣīdat al-naṯr, nel suo caso, è un confine fra due mondi, o fra due inferni. La sua poesia è una via sottile fra gli abissi del sé, una volontà sospesa, una contraddizione insanabile. Se si dovesse ridurre la qaṣīdat al-naṯr a una parola sola, si dovrebbe scegliere proprio “contraddizione”. Tale poesia non porta forse la propria contraddizione nel suo stesso nome? […] qaṣīdat al-naṯr (lett. “la poesia della prosa”) significa che la prosa è poesia. Naṯr [prosa], in arabo, significa anche “dispersione”, “sparpagliamento” […], mentre qaṣīda [che indica un tipo di componimento poetico] viene da qaṣada, cioè “dirigersi verso una meta”, “avere uno scopo preciso”, un’ulteriore contraddizione.(4)
La “poesia della prosa” è quindi un’assunzione della contraddizione, il secondo diritto di Baudelaire, forse non a caso. Della contraddizione Saadeh sembra prendere l’aspetto più spinoso, l’impossibilità.
Si racconta che in una lezione Wittgenstein tracciò sulla lavagna il disegno di un meccanismo fatto di tre ruote dentate, costruito cioè in modo tale da essere impossibile muoverne gli ingranaggi. In modo simile, continuava Wittgenstein, potremmo considerare il caso di chi ordina a qualcuno di abbandonare e non abbandonare la stanza in cui si trova. Anche qui la reazione che possiamo attenderci è il blocco(5).
Il restare intrappolati in una stanza — situazione sperimentata in quest’ultimo anno ad un livello mai visto — è affrontato invece da Saadeh attraverso una leggerissima linea di fuga posata tra immaginabile e inimmaginabile, in cui figura non l’io, ma la terza persona singolare, una linea a cui è assegnato il compito tragico di reggere il peso di una fuga impossibile, come nella poesia “Una vita”:
[…]
Disegnò una stanza,
nella stanza mise un letto
e dormì.
… e quando si svegliò, disegnò un mare,
un mare profondo
e annegò.
Non vi è qui alcun meccanismo e, soprattutto, alcun blocco. D’altronde, anche per Wittgenstein questa idea è forviante. Potremmo infatti immaginare che l’ordine assegnato voglia in realtà dire: “lascia questa stanza con fare esitante”. Inoltre — continuava Wittgenstein, sfidando la nostra intuizione — finché non viene individuata, una contraddizione non necessariamente è dannosa, anche nel caso un calcolo matematico. Famosa però è la risposta che Alan Turing, a quel tempo suo studente, gli diede:
Turing: Il danno reale non si manifesterà a meno che non ci sia un’applicazione, nel qual caso un ponte potrebbe crollare, o qualcosa del genere.
Wittgenstein: Ah ecco, questa idea del ponte che crolla se c’è una contraddizione è importantissima. Ma sono troppo instupidito per cominciare a discuterne ora; ne parlerò la prossima volta(6).
Wittgenstein ne parlò nelle lezioni successive, ma si era addentrato in un territorio in cui la complessità e la semplicità si intersecano e producono immagini sfuggenti. I criteri per cui una contraddizione ci blocca, fa crollare un ponte oppure ci conduce fuori dalla stanza con fare esitante sembrano diventare tanto più cangianti ed elusivi quanto più riflettiamo sopra di essi. Un’altra impossibilità, dunque, o forse la stessa, come decidere?
Questo è per Wittgenstein il problema filosofico(7), il suo nucleo oscuro, mai abbastanza sottolineato dagli studiosi; è cioè il problema che ha per eccellenza la forma: «Non mi ci raccapezzo». Quest’espressione in italiano suggerisce una situazione in cui non si riesce a mettere insieme gli elementi di un problema, mentre in tedesco sottolinea che quel certo problema va al di là delle nostre competenze o capacità(8).
Dinanzi alla contraddizione la poesia di Saadeh diventa invece acqua. Secondo Farouq questa sostanza onnipresente, inafferrabile e multiforme è per Saadeh «tema, tecnica e sguardo sul mondo», ma anche l’acqua pone i suoi enigmi.
Questo gli artisti lo sanno bene, il mare va al di là della mano. In apparenza così semplice, sembra al tempo stesso più cangiante ed elusivo di qualsiasi contraddizione. La mano si perde nel rappresentarne gli innumerevoli riflessi, la dinamica caotica delle sue onde o il vertiginoso senso di profondità generato dalle sue trasparenze.
Il disegno diventa un paradosso per la mano e forse proprio per questo la via d’uscita dalla stanza di Saadeh è disegnare l’abisso. “L’universo attraversa la mano, si riversa nell’abisso”, scrive Edmond Jabès(9) e in Saadeh è alla mano che è assegnato questo compito. Così è una mano, quella del sole, che cerca un ago per ricongiungere le ombre di chi si allontana verso l’acqua (in “Ombre”) ed è con le mani che ci si aggrappa alle rocce e si diventa conchiglie (in “Direzione”). Infine, anche i morti diventano sensibili al tocco delle mani (in “Una cosa sulla soglia”).
Saadeh tiene l’inconcepibile tra le dita. Questo ho avuto modo di vederlo anche la prima volta che l’ho conosciuto davvero, nell’ottobre del 2018, nel cortile dell’Università Cattolica, poco prima che iniziasse una serata a lui dedicata. Naturalmente, quella sera era lì con noi ancora meno di quando lo si legge. Certo, questo vale per molti poeti, ma in Saadeh la sua stessa presenza è una forma di assenza che però è leggera, è quasi una vicinanza.
Nel brillare dei suoi occhi sembra di cogliere una dolcezza il cui mistero è che non c’è alcun mistero. Vederlo muovere le mani mentre parla o scherza è vederlo ballare, strappa il sorriso.
Saadeh è un uomo che balla sulla tragedia con gentilezza.
Una domanda a Wael Farouq
Come anticipato nell’editoriale, per ogni appuntamento di questa rubrica verrà fatta una breve intervista al professor Wael Farouq, poeta che insegna letteratura araba all’Università Cattolica di Milano.
Nel tuo saggio hai individuato nell’acqua un elemento fondante della poetica di Saadeh sia come risposta alla contraddizione e alla tragedia, sia da un punto di vista formale, nella sua scelta cioè della prosa. La prosa è onnipresente, inafferrabile e multiforme, come l’acqua, ma l’acqua, come la prosa, porta con sé suoni, ritmi e musica. Trovi che vi siano delle associazioni di questo tipo nella poesia di Saadeh?
Il ritmo della poesia in prosa (qaṣīdat al-naṯr) è come l’acqua: non ha forma, prende quella dello spazio che occupa, per farsi contenere e avvolgere. Il ritmo della poesia in prosa trascende la fisicità della voce per giungere al proprio significato: reggendosi sul ritmo dell’esperienza umana, con i suoi rivolgimenti appassionati e liberi, ha sottratto la poesia all’ordine rigido, affrancandola. Ha cancellato la subordinazione del ritmo dell’esperienza a quello della metrica. Si è disfatta delle immagini preconfezionate e dei toni altisonanti per concentrarsi sulla particolarità dell’esperienza, la particolarità del timbro poetico e la particolarità dell’esecuzione. Ha superato il concetto retorico di immagine per passare a un concetto visuale e ha sprigionato la voce interiore profonda per bearsi della libertà assoluta. Si è alleggerita dall’emozionalità chiassosa, a lungo associata alla metrica ritmica, per dedicarsi ai dettagli della realtà. Ha sostituito la memoria cognitiva con la memoria visiva. Si è concentrata sul nostro vissuto, sull’essenza delle cose nella loro presenza fisica viva. Ha sfruttato le energie illimitate della narrazione poetica, aggrappandosi all’intimo umano, al sensoriale, al sé della persona, persino nei suoi stati più fragili, con un timbro poetico più soggettivo e umano.
Ombre
S’allontanarono verso l’acqua
calando dai loro monti come morbide ombre
per non risvegliare l’erba.
Alcune ombre, passando per i campi,
si staccarono da loro e s’addormentarono là,
altre s’aggrapparono alle rocce, si tesero
e li riportarono a sé.
S’allontanarono, finché giunsero
all’acqua stremati,
sopra di loro il sole era in cerca di un ago
per ricongiungerli alle ombre.
ظلال
زحلوا نحوَ الماءِ
منحدرين من جبالهم ظلالاً ناعمةً
لئلاَّ يوقظوا العُشب.
خيالاتُهم حينَ مرَّتْ على الحقولِ
فارقَهُمْ بعضُها ونامَ هناك
وخيالاتٌ تشبَّثَتْ بالصخورِ وانمغطَتْ
وأعادتْهم إليها.
زحلوا حتَّى وصلوا
إلى الماءِ مُنهكين
وفوقَهم كانتِ الشمسُ تبحثُ عن إبرةٍ
لتُعيدَ وَصْلَهُم بالظلال.
Una cosa sulla soglia
Era morto ma era
sensibile al tocco
dei loro polpastrelli sulla fronte.
Lo posarono in centro alla casa
su un letto che avevano affittato, simile a quello
che avrebbe voluto comprare.
Lo posarono e vestirono con abiti
simili a quelli delle vetrine della città.
Quando lo portarono via,
uscendo di casa, lasciò
una cosa strana sulla soglia
e ogni volta che entravano
rabbrividivano senza saperne il motivo.
شيء على العتبة
كان ميِّتًا لكنَّهُ كان
يُحِسُّ أناملَهُم على جبهتِهِ
أسْبَلوهُ وسطَ الدار
على فراشٍ استأجروهُ وكانَ
يُحِبُّ أن يشتري مثلَهُ،
أسبَلوهُ وألبسوهُ ثيابًا
رأى مثلها في واجهاتِ المدينة
وحينَ حملوه
تركَ وهو يغادرُ البيتَ
شيئًا غريبًا على العتبة
وكانوا كُلَّما دخلوا
يرتجفونَ ولا يعرفونَ السبب.
Parole
Le parole che ha detto
sono sulle sedie, nella credenza, sui letti, sul muro.
Hanno portato una domestica per pulire casa,
ha pulito mobili, pentole, pietre,
hanno portato vernice,
hanno portato voci nuove,
ma continuano a sentirle.
كلمات
الكلماتُ التي قالَها
على المقاعدِ، في الخزانةِ، على الأسِرَّةِ، والجدار
جلَبُوا خادمةً نظَّفَتِ البيتَ
نظَّفَتِ الأثاثَ والأواني والحجارة
جلَبُوا طِلاءً
جلَبوا أصواتًا جديدةً
وظلُّوا يسمعونَها.
Partenza
Toccò la porta di casa e uscì,
lasciando sulla serratura un po’ dei suoi respiri.
Vide le due che lo guardavano:
la serratura che chiudeva dietro di sé l’ululare della notte
e la porta attraverso le cui fessure
sorgeva il mattino.
Le vide dissolversi e ridiventare
legno secco e massa arrugginita,
vide i muri tornare alle montagne,
pietre sole e tristi,
il compressore sul tetto tornare
roccia in un bosco lontano
e il soffitto che d’inverno piangeva qualche lacrima
scrosciare acqua come una scogliera disperata.
Toccò la porta di casa e partì,
lasciando un fiore nel foro della serratura
e sul tetto una nuvola
di sguardi.
رحيل
لمسَ بابَ البيتِ وخرج
تاركًا على القِفْلِ بعضَ أنفاسِهِ
رآهُما ينظرانِ إليه:
القفلُ الذي كان يحبسُ خلفَهُ عُوَاءَ الليل
والبابُ الذي كان الصباحُ
يطلعُ من شقوقِهِ،
رآهُما يتحلَّلان ويعودان
يباسًا على الطريقِ وكتلةً صدِئَة
ورأى الحيطانَ ترجعُ إلى الجبالِ
أحجارًا وحيدةً وحزينة
والمَحْدَلَةَ على السطحِ تعودُ
صخرةً في غابةٍ بعيدة
والسقفَ الذي يَدْمَعُ دمعتيْن في الشتاء
يهطلُ مثلَ جُرْفٍ يائس.
لمسَ بابَ البيتِ ورحلَ
تاركًا زهرةً في فتحةِ القفل
وفوقَ السطحِ غيمةً
من نظراتِهِ.
Compagni
Era seduto sul balcone
cercando di stringere la mano a un vento
che scherzava coi suoi capelli,
disse: Mano!
quando il vento agitò la rosa,
quando il cielo lampeggiò, disse: Sguardo!
e disse: Dev’essere un sorriso
sfuggito in aria, un giorno, dalla bocca di qualcuno,
forse ora arriverà
a sedersi qui con me.
Era seduto sul balcone
cercando di rievocare volti
per riempire attorno a lui
le sedie vuote.
رفاق
جلسَ على الشرفةِ
مُحاولاً أنْ يصافحَ أصابعَ ريحٍ
تَلْهو بشَعْرِهِ،
قالَ: يدٌ
حينَ هزَّتْ الريحُ الوردةَ
حينَ ابرقَتِ السماءُ قالَ: نظرةٌ
وقالَ لا بُدَّ بسمة
افلتَتْ من ثغرٍ ذاتَ يومٍ في الهواء
وقد تَصِلُ الآنَ
وتجلسُ معي.
جلسَ على الشرفةِ
مُحاولاً أن يستعيدَ وجوهًا
ليملأَ حواليهِ
المقاعدَ الفارغة.
Una vita
Stava per lo più facendo passare il tempo,
disegnò un vaso,
disegnò un fiore nel vaso
e dal foglio salì una fragranza.
Disegnò un bicchiere d’acqua,
bevve un sorso
e innaffiò il fiore.
Disegnò una stanza,
nella stanza mise un letto
e dormì.
… e quando si svegliò,
disegnò un mare,
un mare profondo
e annegò.
حياة
كانَ، تقريبًا، يبدِّدُ الوقتَ
رسمَ إناءً
رسمَ زهرةً في الإناء
وطلعَ عطرٌ من الورقة،
رسمَ كوبَ ماء
شربَ رشفةً
وسقى الزهرة،
رسمَ غرفةً
وضعَ في الغرفةِ سريرًا
ونام
… وحينَ استفاقَ
رسمَ بحرًا
بحرًا عميقًا
وغَرِقَ.
Direzione
Le corde ci seguirono verso il mare, con il bucato dimenticato
steso sopra,
alcuni compagni caddero
fra gli alberi di fichi,
alcuni fra la soglia e la porta, e sotto le mensole.
Ci incamminammo e lasciammo
sulle corde vestiti,
sui muri pezzi dei nostri corpi.
Quando entrammo in mare
ad alcuni spuntarono squame,
altri si aggrapparono alle rocce
e diventarono conchiglie.
وجهة
تَبِعَتْنا الحِبالُ في اتِّجاهِ البحرِ، مع غسيلٍ نَسِيْناهُ
منشورًا عليها
وكَبا منَّا رفاقٌ
بينَ شجرِ التِّينِ
كَبا رفاقٌ بينَ العَتَبَةِ والبابِ، وتحتَ الرفوف
مشيْنا وترَكْنا
على الحِبالِ ثيابًا
وعلى الجدرانِ قِطَعًا كانت لأجسادِنا
وحينَ دخَلْنا البحرَ
نبتَتْ لبعضِنا حراشِفُ
وبعضُنا تشبَّثَ بالصخورِ
وصارَ صَدَفًا.
Testi tratti da Waadih Saaeh, A causa di una nuvola probabilmente, traduzione a cura di Elisa Ferrero e Wael Farouq, con un saggio di Wael Farouq, Muta, Milano/Baghdad 2018
La voce di Wadih Saadeh
Qui è possibile vedere un’intervista al poeta dove legge alcuni suoi testi — con traduzione in italiano — in occasione dell’evento “Poesia, migrazione e identità linguistica” a lui dedicato dall’Università Cattolica di Milano il 30 ottobre del 2018.