Agli scomparsi in cielo, ai Ganimedi
F. O.
Pochi mesi fa, in modo del tutto imprevisto, come un prodigio: la scoperta di un inedito di Gabriele Galloni diciottenne è come se avesse aperto un varco temporale, un nuovo spazio di dialogo: ciò che la poesia può fare.
Lessi la prima volta delle poesie di GG in rete nel 2018, mi colpirono per l’incisività da epigramma greco, la levigatezza del verso con grazia penniana, turbata però da un impulso erotico a tratti sadico, e da un senso tragico, altissimo, della scomparsa. Lo invitammo nel ’19 alla rassegna che organizzavo a Milano con il gruppo studentesco Lampioni Aerei, divenuto associazione, sorto all’Università degli Studi di Milano: “MediumPoesia. Poesia e Contemporaneo”[1]. Non racconto oltre, di noi.
Ora che per me sta per terminare questo tempo sospeso, di ricerca entusiasmante, ossessiva e totalizzante per la tesi di dottorato, sul mito di Ganimede, potrò concludere il viaggio intorno a questa figura, proprio ricordando il Ganimede di Gabriele Galloni.
Un’avventura – sempre a venire – mitologica che trova il suo inizio letterario nei tempi remoti dell’Iliade omerica, e che persiste, con variazioni da Ovidio a Goethe, da Virgilio e Shakespeare, da Christine de Pizan a Marguerite Yourcenar, fino a oggi. Nella letteratura italiana, di cui mi occupo fondamentalmente nella tesi, si trovano rielaborazioni del mito di Ganimede tra gli autori più celebri: Dante, Petrarca, Boccaccio, Alberti, Poliziano, Boiardo, Ariosto, Tasso, Marino, Parini, Alfieri, Leopardi, Saba, fino al contemporaneo Franco Buffoni.
Gabriele Galloni rielabora il mito mostrando dei debiti diretti, in alcuni casi, nei confronti di questa estesa tradizione che, in estrema sintesi, ha interpretato la figura principalmente in due modi, non sempre disgiunti: erotico (poiché Ganimede diviene amasio, oltre che coppiere, di Zeus/Giove), trascendente-ascetico (poiché Ganimede rappresenta un caso eccezionale di mortale straordinariamente bello, che ascende in cielo e ottiene eterna giovinezza e immortalità).
Mi limito qui a riportare il testo galloniano su Ganimede, di cui intendo fornire un’analisi stilistica e sulle fonti più dettagliata nella tesi. Bisogna però precisare che esattamente a dieci anni fa, al 2013, risale Symbolum ’13[2]: la versione musicata e riscritta del testo in una chiave cristologica dal teologo morale Dario Coppola, con beneplacito di Gabriele. GG inviò personalmente il testo a Coppola, con l’invito esplicito a realizzarne una partitura musicale, di cui il giovane poeta rimase particolarmente entusiasta. E non posso che ringraziare Dario Coppola per avermi messo a disposizione il testo originale scritto da GG.
Nella seconda versione riscritta da Coppola, il desiderio amoroso per Ganimede espresso dall’io poetico muta in quello per Cristo. D’altronde la lettura di Ganimede come figura Christi non è nuova, ma risale al Medioevo, e si trova in particolare nel poema in francese antico noto come Ovide moralisé.
Bisogna quindi considerare il testo originale con protagonista Ganimede come una ballata scritta con l’intendimento che vi potesse essere una partitura musicale alla base. Il componimento consta di tre strofe di sette endecasillabi perfetti con schema di rima ABABABCC, e la scelta di definirla lato sensu ‘ballata’ risale al poeta, per indicare la gioia festante dell’innamoramento. Nonostante una certa scolasticità della composizione, comprensibile per la giovanissima età dell’autore, si trovano in nuce diversi stilemi del ‘gallonismo’: «una cifra tematica e stilistica così distintiva da rischiare il precoce automanierismo»[3], come ha scritto Roberto Batisti.
Colpisce l’originalità con cui viene affrontato il mito: la prospettiva dell’Io è quella di un adolescente coetaneo, o poco più grande, di Ganimede, con cui si configura un’unione terrestre, fisico-erotica ma al contempo celeste e divina con il personaggio del mito rapito in cielo.
Francesco Ottonello
Ganimede
Dolce è il dolore come un’onda lenta
che a poco a poco unisce i nostri sessi,
Ganimede; il dolore che ci tenta
la carne, che ci stringe negli amplessi,
Ganimede; la morsa sonnolenta
a cui ci abbandoniamo a poco a poco,
senza pensieri, dolce, santo fuoco.
La notte è silenziosa e ancora bianca
di stelle; silenziosa come i baci
dei fiori sulle tombe vuote, e bianca
come un leggero crepitio di braci
che tutto intorno a noi brucia e si sfianca,
pallido e silenzioso. E tu mi guardi,
mi ti avvicini pieno di riguardi…
Stringiti a me, più forte. La tua bocca
non abbia che il singhiozzo bianco e lieve
della mia carne, Ganimede, tocca
l’amore, stringi, bacia. Il sogno beve
l’ultima voluttà del corpo… bocca
di fiore, bocca che non si concede,
amore: forza, sogna. Ganimede…