La notizia della morte del poeta Yahya Hassan è stata riportata per prima da Simon Pasternak, capo della casa editrice Gyldendal, con cui il giovane poeta aveva pubblicato la silloge omonima Yahya Hassan: Digte (2013) a soli 18 anni, raggiungendo un incredibile successo di pubblico, ma anche riscontri di critica, venendo poi tradotta in numerose lingue (l’edizione italiana è uscita per Rizzoli nel 2014). Il suo libro è stato stampato nella sola Danimarca nel numero record di 120.000 copie, in un paese in cui le raccolte di poesia sono solitamente stampate in poche centinaia.
La sua poesia, con una matrice di fondo confessionale e autobiografica, come è chiaro già dal titolo, aveva suscitato un dibattito così acceso nell’opinione pubblica proprio in virtù della veemenza della sua denuncia verso l’ipocrisia religiosa musulmana e la violenza domestica, con le quali era cresciuto, in un ghetto della città danese di Arahus. Certamente il suo era diventato un caso mediatico, al di là del valore letterario dei suoi testi, avendo fatto notizia per le aggressioni e minacce di morte subite, che lo avevano portato a vivere sotto scorta, ma anche per la sua vita senza freni, avendo compiuto egli stesso atti criminali.
Il suo stile è facilmente riconoscibile per l’uso delle sole maiuscole e l’assenza di punteggiatura. La veemenza della sua scrittura si serve del turpiloquio, dello slang del ghetto, di giochi di parole, con l’intento di dire urlando, senza tabù, con lucidità, tutta la disperazione. Nei versi di Hassan, influenzati dal rap e dalla Beat Generation, non esenti da un tagliente gusto sarcastico e da una volontà di scandalo, emerge il rancore per la sua storia personale, verso la sua famiglia di origine palestinese, che si trasferisce in Danimarca da un campo profughi libanese, con un padre che picchia i figli e la moglie, e che quando viene lasciato si fa mandare una nuova donna direttamente dalla Tunisia. Tuttavia Hassan non risparmia critiche per la sua stessa patria di adozione, la Danimarca, cercando di mettere a nudo tutte le contraddizioni, per ridare voce a una generazione emarginata, schiacciata da oppressioni, ipocrisie e violenza.
F.O.
Vi riportiamo qui quattro suoi testi, nella traduzione italiana, a cura di Bruno Berni.
INFANZIA CINQUE FIGLI IN FILA E UN PADRE CON LA MAZZA POLIPIANTO E UNA POZZA DI PISCIO SI TIRA FUORI LA MANO A TURNO È QUESTIONE DI PREVEDIBILITÀ QUEL RUMORE QUANDO ARRIVANO I COLPI LA SORELLA CHE SALTA VELOCE SU UN PIEDE POI SULL’ALTRO IL PISCIO È UNA CASCATA SULLA GAMBA PRIMA FUORI UNA MANO POI L’ALTRA SE PASSA TROPPO TEMPO I COLPI VANNO A CASO UN COLPO UN GRIDO UN NUMERO 30 O 40 A VOLTE 50 E UN ULTIMO COLPO SUL CULO USCENDO DALLA PORTA PRENDE IL FRATELLO PER LE SPALLE LO RADDRIZZA CONTINUA A COLPIRE E CONTARE ABBASSO LO SGUARDO E ASPETTO IL MIO TURNO MAMMA ROMPE PIATTI PER LE SCALE E INTANTO AL JAZEERA TRASMETTE BULLDOZER IPERCINETICI E MEMBRA ARRABBIATE LA STRISCIA DI GAZA SOTTO IL SOLE LE BANDIERE CHE VENGONO BRUCIATE SE UN SIONISTA NON RICONOSCE LA NOSTRA ESISTENZA SE POI DAVVERO ESISTIAMO QUANDO SINGHIOZZIAMO ANGOSCIA E DOLORE QUANDO BOCCHEGGIAMO IN CERCA D’ARIA O DI SENSO A SCUOLA NON SI PUÒ PARLARE ARABO A CASA NON SI PUÒ PARLARE DANESE UN COLPO UN GRIDO UN NUMERO * FUORI DALLA PORTA STAVO VICINO AGLI APPENDINI CON UNA FRITTELLA IN MANO E IMPARAVO A FARE FIOCCHI IN SILENZIO ARANCE CON CHIODI DI GAROFANO E NASTRO ROSSO APPESE AL SOFFITTO COME BAMBOLE VOODOO INFILZATE È COSÌ CHE RICORDO L’ASILO GLI ALTRI ASPETTAVANO CONTENTI BABBO NATALE MA IO AVEVO PAURA DI LUI COME AVEVO PAURA DI MIO PADRE * IL RENE RISPARMIAVAMO UN RENE PER UNO ZIO A DUBAI E UN INTERVENTO AL CUORE PER IL NONNO IN LIBANO RISPARMIAVAMO PER LE MALATTIE DEGLI ALTRI NASCONDEVAMO I SOLDI SOTTO UN TAPPETO CAMBIAVAMO IN DOLLARI E PREGAVAMO ALLAH * FIORE DI PLASTICA NELLA CASA CHE HO BRUCIATO MANGIAVAMO SEMPRE SUL PAVIMENTO PAPÀ DORMIVA SU UN MATERASSO IN SOGGIORNO I MIEI FRATELLI GIÀ NATI ERANO SPARSI PER L’APPARTAMENTO UNO AL COMPUTER UNO STRISCIAVA A TERRA E UNO CON MAMMA IN CUCINA SE CONTINUI A INFASTIDIRE I TUOI FRATELLI TI BRUCIO DICEVA MAMMA CON IN MANO L’ACCENDINO DI PAPÀ MA QUANDO LO HA POSATO IO L’HO ANTICIPATA L’HO MESSO IN TASCA HO FATTO I MIEI PASSI COLPEVOLI SEDUTO NELL’ANGOLO TRA IL TERMOSIFONE E IL DIVANO HO FATTO DIVORARE ALLA FIAMMA LO STELO DI PLASTICA SONO RIMASTO LÌ FINCHÉ NON POTEVO PIÙ STARCI MI SONO ALLONTANATO E HO GUARDATO LE FIAMME POI HO GUARDATO PAPÀ E HO PENSATO CHE ERA MEGLIO LASCIARLO DORMIRE MA POI MAMMA È ENTRATA STRILLANDO E PAPÀ SI È SVEGLIATO MOLTO PRIMA DELLA PREGHIERA E LE FIAMME HANNO PRESO VITA E PAPÀ HA SALITO LE SCALE IN MUTANDE PELOSO COME UN GORILLA HA AVVERTITO TUTTI I TAMIL DEL PALAZZO SIAMO SCESI IN CANTINA AD ASPETTARE I POMPIERI L’UNICA COSA CHE CI SIAMO PORTATI NELLA NUOVA CASA LA TIVU NERA L’ABBIAMO TENUTA ANCORA UN PAIO D’ANNI DIETRO ERA SCIOLTA E I RICORDI DELLA PRIMA INFANZIA ERANO BRUCIATI SPARGEVO UN MUCCHIO DI GIORNALI FINCHÉ GRAN PARTE DEL PAVIMENTO ERA COPERTO OSSERVAVO TUTTE QUELLE PAROLE E QUELLE FOTO FINCHÉ NON PORTAVANO DA MANGIARE SE PAPÀ VEDEVA PAROLE COME SESSO O CAZZO O LA FOTO DI UNA SCANDINAVA SVESTITA PER ATTIRARE L’ATTENZIONE DI UN INFEDELE LA STRAPPAVA O GIRAVA IL GIORNALE MA A CAPODANNO SI È MANGIATO INTORNO A UN TAVOLO C’ERANO KETCHUP E COLA E COLTELLI E FORCHETTE LUI DAVA DUE SBERLE SE L’ATMOSFERA ERA TROPPO ALLEGRA PER IL RESTO SI È MANGIATO IN MODO CIVILE Yahya Hassan